Alberto Oliverio

Domande, risposte, test sulla memoria

 

Cos'è la memoria?

Ci sono tanti modi per definire la memoria, anzi i diversi tipi di memoria: una definizione generale può essere quella secondo cui la memoria è la capacità del nostro cervello di registrare esperienze che lasciano una traccia più o meno duratura. Questa traccia implica modifiche che alterano il nostro modo di agire e pensare in modo conscio o inconscio. Tutto sommato è una definizione che ci accomuna agli animali, anche a quelli più semplici, che agiscono in modo diverso dopo aver fatto una particolare esperienza. Ad esempio, quando sfioriamo i "cornetti" di una lumaca questa ritrae la testa nel guscio ma se ripetiamo questa stimolazione per molte volte di seguito le risposte della lumaca diminuiscono; si è abituata a quello stimolo ripetitivo, il che significa che quest'ultimo ha lasciato una qualche traccia nelle trame nervose dell'animaletto. Anche il ricordare come si va in bicicletta a distanza di anni o imparare una lingua straniera richiede memoria: si tratta di memorie diverse, legate alla motricità, ai suoni, ai significati, ma esse hanno in comune il fatto di lasciare una traccia e quindi di modificare il nostro comportamento, rendendoci diversi da ciò che eravamo prima di aver fatto quelle esperienze. Senza memoria non si impara, anche se l'apprendimento non dipende soltanto dalla memoria…

 

Conoscere meglio come funziona la memoria significa anche migliorare le proprie capacità di memoria e apprendimento?

Lo sviluppo di capacità metacognitive è molto importante ed è aggi al centro delle teorie dell'apprendimento."Metacognizione" è un termine insolito per i non addetti ai lavori ma per spiegare il suo significato possiamo utilizzare una metafora: le conoscenze sulla mente stanno all'efficienza con cui l'usiamo come le conoscenze su una particolare dieta stanno all'uso che ne facciamo, al suo successo. E' possibile seguire una particolare dieta se non abbiamo alcuna conoscenza sui tipi di cibi, sul loro valore calorico sui meccanismi dell'alimentazione? In modo simile, uno sportivo che si alleni in palestra per migliorare la sua forma fisica e le sue capacità muscolari, può prescindere da qualche nozione di fisiologia umana, di dietetica, di conoscenze sui muscoli e sul loro funzionamento? La risposta, ovviamente, è che lo sportivo, o il suo allenatore, deve possedere alcune nozioni di base sul fisico umano per migliorarne le prestazioni, anzi, è ancor meglio se sa controllare le proprie reazioni, emozioni e via dicendo: quanto più sappiamo sul nostro fisico, tanto meglio possiamo allenarci. Allo stesso modo, le conoscenze sull'apprendimento possono migliorare il nostro modo di imparare, malgrado coltiviamo un forte pregiudizio, quello secondo cui l'apprendimento dipenderebbe esclusivamente dalla volontà e dall'applicazione e non da opportune strategie. Siccome in qualche modo impariamo "spontaneamente", non riteniamo che sia necessario imparare ad imparare, sviluppare strategie che ci consentano di raggiungere migliori prestazioni cognitive.

Metacognizione è quindi un termine che rimanda alla consapevolezza e alla conoscenza che noi abbiamo della mente, del suo modo di lavorare, di andare incontro ad alcuni problemi e così via: il conoscere e il riflettere su come pensiamo si traduce in un miglioramento delle attività cognitive, vale a dire di quei processi mentali che sono implicati nell'apprendimento. Conoscere come funzioni la nostra mente e quali siano i meccanismi dell'apprendimento e della memoria costituisce un primo, essenziale passo per imparare meglio e imparare a imparare. Un secondo passo è invece quello di mettere in pratica alcuni semplici principi che sono importanti per prestare attenzione, comprendere il significato di un'esperienza, organizzarla e rielaborarla in modo razionale, cosicché un apprendimento non sia limitato a un ambito particolare, come spesso accade per tante nozioni apprese a scuola, ma abbia un significato più generale, sia una specie di mattone che può essere utilizzato per costruire qualsiasi tipo di edificio.

 

Ci rendiamo conto di come e quanto apprendiamo, ovverosia delle nostre abilità metacognitive?

Come abbiamo appena visto, imparare ad usare la memoria appartiene alle abilità metacognitive. Queste abilità maturano col tempo, come indicano ricerche sulla capacità di memorizzare liste di parole e di oggetti da parte di bambini della scuola elementare e dai bambini prescolari. Lo psicologo J. Flavell ha dimostrato che i bambini più piccoli pensano di avere memorizzato la lista mentre in realtà non l'hanno memorizzata per niente. Ecco quanto riferisce questo psicologo dello sviluppo: "A bambini di età prescolare e delle elementari fu chiesto di studiare un insieme di item (in psicologia singoli elementi di un test costituiti da immagini, oggetti o parole) finché fossero certi di poterli ricordare alla perfezione. I più grandicelli studiarono per un po' e poi dichiararono di essere pronti, e in genere questo era vero perché mostravano di ricordarli perfettamente. Anche i più piccoli studiarono la lista per un po', anche loro dissero di essere pronti, ma in realtà non lo erano. Essi ritenevano erroneamente di avere memorizzato e di potere ricordare gli items. Risultati di questo tipo hanno evidenziato che i bambini piccoli sono abbastanza limitati nella loro conoscenza e cognizione dei fenomeni cognitivi, cioè nella metacognizione, e che hanno uno scarso controllo della loro memoria, comprensione e di altre iniziative cognitive". Negli adulti queste capacità migliorano ma non sono necessariamente spontanee o perfezionate, hanno sempre bisogno di essere coltivate attraverso una conoscenza dei meccanismi della propria mente. In altre parole, conoscere un po' di psicologia, di scienza cognitiva e di psicobiologia è d'aiuto per usare meglio la nostra mente.

 

Che differenza esiste tra le memorie che durano poco, ad esempio ricordare un numero di telefono che ci è stato appena comunicato, e le memorie durature, quelle che ci accompagnano per tutta una vita?

La memoria può essere di breve durata o permanere per anni e anni: la memoria a breve termine, o memoria di lavoro, è una sorta di lista della spesa che viene dimenticata non appena ne abbiamo fatto uso. Ad esempio, se nell'uscire di casa dobbiamo acquistare il giornale, un etto di caffè e una bottiglia di vino mettiamo in memoria questa informazione che è però labile e verrà presto dimenticata. La memoria a breve termine ha una capacità di circa sei-sette elementi di informazione e questi possono essere le cose più diverse, dai diversi articoli di una lista della spesa alle singole cifre che costituiscono il numero di telefono di un conoscente: poniamo il caso che qualcuno ci dia il proprio numero telefonico 6773561: potremmo "mantenerlo in memoria" per breve tempo ma la nostra capacità migliora se lo scomponiamo in un minor numero di elementi come 67-73-56-1 oppure 677-356-1. Al di là di otto numeri la maggior parte delle persone ha problemi e la memoria breve vacilla a meno che il numero non venga ripetuto e formato più volte: esso viene così "passato" a un diverso "magazzino", quello della memoria a lungo termine, cui affidiamo ricordi quali un episodio della nostra vita, il viso di una persona nota, l'apprendimento di concetti. La memoria a lungo termine si basa su modifiche durature delle trame nervose: ad esempio, sulla produzione di nuovi contatti (sinapsi) tra neuroni o sulla ristrutturazione di una rete nervosa che si trova ad assumere una nuova conformazione. In questo modo le memorie a breve termine vengono consolidate in memorie permanenti, memorie in cui le esperienze vengono codificate in modo duraturo.

 

Cosa è il processo di codificazione?

Esso implica il passaggio da una memoria di breve durata o memoria a breve termine, oggi generalmente definita memoria di lavoro, a una memoria più duratura e stabile, la memoria a lungo termine. I due sistemi, la memoria di lavoro e la memoria a lungo termine, fanno capo a differenti circuiti e strutture cerebrali. Una persona che subisce, a causa di un ictus o di altre patologie, una lesione della parte interna dei lobi temporali, la parte del cervello che si trova, grosso modo, dietro le nostre orecchie, non ha difficoltà di memoria breve -ad esempio può trattenere in memoria per qualche secondo un numero telefonico- ma non è in grado di trasformare le memorie di lavoro in memorie durature, cioè di "consolidarle". Le persone che sono colpite da lesioni di alcune parti della corteccia dei lobi parietali del cervello possono formare memorie durature ma sono incapaci di trattenere un'informazione, come un numero o una serie di lettere, nella memoria di lavoro e di ripeterla subito dopo, hanno cioè dei problemi del "loop fonologico".

 

Cos'è il loop fonologico?

E' una delle forme della memoria di lavoro (loop sta a significare una pista o un circuito chiuso, percorso più volte da uno stimolo), una sorta di block-notes di breve durata, basato su un circuito cerebrale che è in grado di mantenere le informazioni linguistiche per alcuni secondi: ad esempio per il tempo di cercare una penna e tentare di scrivere il numero 0286586741, il nuovo numero di telefono che un amico ci ha appena al telefono.

 

Se una persona viene distratta da altri stimoli si dimentica quello che tentava di tenere a mente: come mai?

In questo caso si parla di interferenza. In condizioni normali la memoria di lavoro decade rapidamente e in genere, se non si tratta di un'esperienza significativa, essa non si trasforma in memoria a lungo termine, cioè non viene consolidata. Se invece l'esperienza è significativa o ci riproponiamo di memorizzarla nella nostra mente (ad esempio un nuovo numero telefonico) essa va incontro al cosiddetto consolidamento. Il consolidamento della memoria può essere turbato da esperienze che si verificano dopo l'esperienza originaria: questo tipo di interferenza si chiama interferenza retroattiva. Immaginiamo ad esempio di mostrare a una persona un cartoncino su cui siano scritte le lettere SLT è di chiederle di ricordare le tre lettere a distanza di tempo, ad esempio dopo 3 oppure 6, 9, 12 o 15 secondi dalla loro presentazione: nell'intervallo questa persona deve contare alla rovescia per due (20,18,16,14 ecc.). In questo modo si ottiene una curva di oblio che dipende dall'interferenza retroattiva: il ricordo diminuisce man mano che aumenta l'intervallo di tempo tra la presentazione delle 3 lettere (o di qualsiasi altro materiale) e la rievocazione.

 

Cosa interferisce di più con la formazione dei ricordi?

Esistono vari aspetti dell'interferenza. Un esempio banale è quello dell'assonanza in cui si verificano interferenze tanto più evidenti quanto più lettere o parole da ricordare si assomigliano. Per esempio se si chiede una persona di ricordare la serie di lettere CDB e poi di copiare le lettere TPV o TVP, la prima serie di lettere viene molto probabilmente dimenticata; ciò si verifica in misura minore o non succede affatto se le si chiede di copiare la serie MLE o MLM. Questo tipo di interferenza spiega perché spesso sia più difficile, quando ci vengono presentate due persone, ricordare i loro cognomi se sono simili o perché per uno studente sia meglio studiare scienze dopo una pagina di storia piuttosto che proseguire con un nuovo argomento di scienze: il simile tende a cancellare il simile. I fenomeni di interferenza spiegano anche perché si impara meglio prima di andare a letto, o meglio perché un ripasso prima di dormire è più efficace di uno effettuato durante il giorno.

 

La somiglianza produce interferenza.

Ricordiamo meglio le esperienze diverse tra di loro piuttosto che quelle simili, come indica questo test:

Leggiamo i nomi dell'elenco A e cerchiamo di memorizzare l'aggettivo associato ai nomi. Ora lasciamo passare 15-20 secondi e, senza guardare l'elenco A, controlliamo la nostra memoria:

 

Elenco A............................... Controllo

politico - astuto ................................politico?
amico - affettuoso .............................amico?
giudice - severo ...............................giudice?
attore - comico .................................attore?
atleta - energico ...............................atleta?

 

Dopo aver preso nota del numero di risposte giuste, passiamo ora all'elenco B e ripetiamo la stessa strategia adottata per l'elenco A:

Elenco B.............................. Controllo

poliziotto - severo ...........................poliziotto?
questurino - austero .......................questurino?
carabiniere - burbero ......................carabiniere?
agente - rigido .................................agente?
gendarme - brusco ..........................gendarme?

 

Avrete notato che è più facile imparare l'elenco A in cui nomi ed aggettivi associati erano diversi tra loro. Invece nell'elenco B, nomi ed aggettivi erano di fatto sinonimi. L'effetto "somiglianza" fa sì che una prima esperienza ostacoli la memorizzazione di un'esperienza simile, causando cioè interferenza. Ad esempio, se dopo aver memorizzato l'elenco A si tenta di memorizzare l'elenco C l'apprendimento di quest'ultimo risulta più difficile. Per rendervene conto riandate all'elenco A, memorizzatelo, eseguite il controllo e dopo aver preso nota del numero di risposte giuste passate all'elenco C:

Elenco C ............................Controllo

collega-caloroso............................collega?
avvocato-scaltro ...........................avvocato?
negoziante-affidabile.....................negoziante?
maestro-giusto............................. maestro?
operaio-forte ................................operaio?

 

Quante risposte giuste avete dato? E' probabile che a causa dell'interferenza siano inferiori a quelle dell'elenco A.

 

Il sonno favorisce quindi l'apprendimento? Una lezione ripetuta prima di dormire viene ricordata meglio di una lezione ripetuta prima di andare in discoteca?

Il sonno favorisce la memorizzazione in quanto diminuisce le interferenze retroattive che si riflettono negativamente sul consolidamento della memoria. Il sonno è infatti caratterizzato da fasi di attività nervosa che favoriscono attivamente la fissazione dei ricordi. Una di queste è la fase REM (dall'inglese Rapid Eye Movements), uno stadio del sonno in cui si sogna, in cui i globi oculari hanno rapidi e involontari movimenti al di sotto delle palpebre -da cui il nome- e in cui tutto il cervello è percorso da onde elettriche rapide e intense, generate da nuclei nervosi situati nella sua profondità. Gli scienziati ritengono che queste onde elettriche servano a "lubrificare" i circuiti nervosi che non possono consentirsi uno stato di "inattività", quale sarebbe quella che si verifica nel sonno: nelle fasi di sonno REM tutti circuiti nervosi vengono percorsi da onde elettriche che agiscono sui circuiti nervosi instabili da cui dipendono le memorie recenti, trasformandoli in circuiti più stabili, anche grazie alla formazione di nuove sinapsi, i punti di contatto tra neurone e neurone. Esperimenti effettuati sui topolini indicano che se si privano questi animali della fase di sonno REM essi tendono a dimenticare quelle esperienze che si sono verificate immediatamente prima la privazione di sonno. I farmaci che riducono la quantità di sonno REM, ad esempio gli antidepressivi, hanno un effetto negativo sulla memoria.

Per vedere delle immagini sui rapporti tra sonno e cervello clicca QUI

 

Interferenza e amnesia sono la stessa cosa?

Alcuni tipi di amnesia dipendono in effetti da fenomeni di interferenza. Numerose situazioni interferiscono con la fissazione delle memorie in modo drastico in quanto "cancellano" quelle esperienze che stavano passando da una forma labile ad una più stabile. Prendiamo un caso purtroppo non tanto raro in passato: un ragazzo che va in motorino senza casco cerca di sorpassare un'automobile, si accorge di non farcela, fa una brusca frenata, scivola a terra e batte la testa. Fortunatamente per lui il colpo non è forte e, dopo un primo stordimento, ancora shoccato e impaurito si rialza da terra, si guarda intorno confuso e, a chi gli chiede cosa sia successo, risponde di non ricordare nulla. Non ricorda il percorso che ha compiuto da casa, la dinamica dell'incidente, il momento dell'impatto: è come se la sua memoria di una parte di quella giornata fosse stata cancellata. I passanti, che sono accorsi per prestargli aiuto, pensano che magari il ragazzo simuli per minimizzare le proprie responsabilità, ma in realtà si tratta di un caso di amnesia retrograda, simile seppure in scala molto più ridotta, a quello che può verificarsi in seguito ad un ictus, un danno a carico di quelle aree del cervello che giocano un ruolo importante nella codificazione delle esperienze.

 

Esistono quindi dei meccanismi biologici, dei circuiti nervosi responsabili del consolidamento delle memorie, del passaggio da una forma di memoria a breve termine ad una duratura?

I biologi hanno postulato da tempo l'esistenza di circuiti della memoria. Il fisiologo canadese Donald Hebb è stato il primo a formulare un'ipotesi tuttora valida: egli immaginò che la memoria di lavoro corrispondesse ad alterazioni elettriche di un gruppo o una rete di neuroni connessi momentaneamente tra di loro da un flusso di corrente elettrica che percorre un circuito o loop neuronale che definì circuito riverberante per indicare che esso veniva percorso più volte, in forma ripetitiva dall'informazione. Hebb ipotizzò che in questa fase una forte scarica elettrica (ad esempio un elettroshock), un'alterazione della funzione nervosa (come avviene in seguito a traumi cranici) o la presenza di un loop competitivo (come avviene in molti fenomeni di interferenza) potessero bloccare la trasformazione della memoria di lavoro dalla forma di instabile circuito riverberante in vero e proprio circuito nervoso, formato da una rete di neuroni connessi tra di loro da nuove e stabili sinapsi nervose.

Per chiarire quello che i neuroscienziati definiscono col termine di "modello hebbiano" della memoria, si può fare l'esempio di un'automobile che cerca un parcheggio e che compie vari giri intorno a una piazza in attesa che si liberi un posto (memoria di lavoro); se arriva un'altra automobile più veloce, questa può "soffiarle" il parcheggio (interferenza retroattiva); se invece l'automobile continua a girare troverà finalmente parcheggio (memoria a lungo termine). Il passaggio dalla memoria di lavoro a quella a lungo termine, cioè il consolidamento della traccia mnemonica, richiede che vengano formate nuove sinapsi nervose o che vengano rese stabili sinapsi che altrimenti sarebbero state eliminate. Il consolidamento, secondo Hebb, può venire paragonato al lavoro di un giardiniere che con la sua potatura di alcuni rami inutili o l'aggiunta di puntelli dà una forma organizzata e duratura alla chioma informe di un albero.

 

Memoria breve e memoria a lungo termine sono due aspetti "di servizio": come si possono definire i ricordi dei fatti salienti della nostra vita o l'insieme dei ricordi che ci riguardano da vicino?

La memoria autobiografica e quella episodica sono due aspetti centrali della memoria di ogni persona: essi consentono di ricollegare una particolare informazione nel contesto del tempo, dello spazio e della presenza di chi ricorda: "quella volta che" (il tempo) "nel corridoio della scuola" (lo spazio) "si è verificato quel fatto" (la presenza di chi ricorda). Nella memoria episodica esiste un rapporto ben saldo tra chi ricorda e ciò che viene ricordato, cosicché chi ricorda ritiene di trovarsi di fronte a una sorta di replica del passato e compie un viaggio mentale per rivivere quella situazione, anche se essa può apparire un mosaico formato da poche tessere o una fotografia molto sbiadita. Tuttavia, per quanto appannato possa essere il ricordo di un lontano episodio, chi ricorda o tenta di ricordare compie sempre un viaggio nel passato senza vincoli col presente: per un momento ci si può distaccare dalla realtà in cui si è immersi e rivivere situazioni lontane. Cercate di riandare con la memoria a un lontano ricordo, il primo ricordo d'infanzia che vi viene in mente, o a un dissidio con l'amico del cuore o a una qualche situazione che vi ha lasciato un perdurante senso di disagio: che cosa è successo? Cosa vi ha colpito? Qual è stato il vostro ruolo? Questa è la memoria episodica, un viaggio nel mondo interiore di chi ricorda in cui, a volte, possiamo restare come intrappolati e sognare a occhi aperti rappresentandoci le possibili variazioni di quell'episodio o rivivendone i dettagli.

 

La memoria episodica è quindi associata a significati, a interpretazioni della realtà?

La memoria episodica è uno degli aspetti della memoria semantica che implica una conoscenza di fatti, concetti, elementi linguistici che, a differenza della memoria episodica vera e propria, non sono legati a un contesto. Ad esempio, quando affermo che Milano è a nord di Roma e Venezia ad est di Torino richiamo conoscenze che non sono contestualizzate, come invece può avvenire per un particolare episodio della mia vita, ad esempio un mio ricordo della scuola elementare in cui i compagni ridevano perché non avevo saputo dire che Milano è il capoluogo lombardo. Gran parte della nostra vita si basa su memorie di tipo semantico, memorie costruite nel tempo, mattone dopo mattone, per edificare un edificio di conoscenze in cui ci è ben difficile o totalmente impossibile rintracciare le origini delle singole esperienze e ricordi.

 

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Memoria autobiografica.

La vita è fatta di età e di periodi, veri e propri contenitori che si riferiscono a periodi ed attività fondamentali come gli anni di scuola, i primi amori, le vacanze, gli anni in una particolare abitazione ecc. E' possibile rivedere alla moviola la propria vita attraverso due diversi sistemi di memoria, quello cronologico (gli anni trascorsi) e quello connotativo (gli eventi alla luce di persone (gli anni coi nonni, del liceo, quando ero fidanzata con… ecc.), cose (nella casa di via… quando giocavo con le bambole ecc.), attività (quando ero boy-scout, quando ero militare, quando facevo volontariato ecc.…).

Per rendervi conto di come vari il sistema di riferimento autobiografico, prendete un foglio e scrivetevi una riga sull'evento che più vi ha colpito:

 

Oggi……………………………
 Ieri……………………………..
questa settimana……………….
la scorsa estate………………...
un anno fa……………………..
cinque anni fa…………………

 

Avrete notato che più ci si allontana nel tempo, più è difficile evocare ricordi. Provate ora, invece, a scrivere sullo stesso foglio qualche riga su:

1. le vacanze di quest'estate………………………………………………….
2. i più bei viaggi che ho fatto……………………………………………….
3. gli anni da militare o dell'università o della scuola superiore…………….
4. i film che mi sono più piaciuti…………………………………………….
5. i libri che mi hanno appassionato di più…………………………………..
6. i giochi dell'infanzia………………………………………………………

 

Potrete notare che i ricordi sono organizzati per fasi, o fasce di eventi, contenitori da cui possiamo ripescare notizie anche dettagliate che si riferiscono al passato.

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Non tutte le memorie sono però di tipo semantico: saper andare in bicicletta o sul motorino è un'abilità che non si scorda quasi mai…

La memoria semantica appartiene alla categoria della memoria dichiarativa, costituita da una serie di fatti e di elementi di informazione specifici che possono essere esplicitati o "dichiarati": nel momento in cui affermiamo che sotto casa passa la linea B della metro o che l'Italia fa parte dell'Unione Europea ricorriamo alla memoria dichiarativa. Ma esiste anche una conoscenza che riguarda il fare, come appunto l'andare in bicicletta o il guidare l'automobile, che appartiene alla memoria procedurale che, a differenza della memoria dichiarativa, è ben difficile tradurre in termini linguistici: potreste mai apprendere in astratto a guidare la bicicletta o l'auto? E' possibile tradurre in parole l'esperienza del nuoto? La memoria procedurale è coinvolta nelle abitudini, nei condizionamenti, nelle memorie di tipo motorio; la memoria semantica è invece di tipo cognitivo, esprime significati ed è generalmente collegata a un codice astratto di tipo linguistico. La memoria procedurale è antica in termini di evoluzione (cioè si presenta a partire da organismi primitivi come le lumache e altri invertebrati) ed è la prima forma di memoria che compare nel corso dello sviluppo umano, tant'è che è presente anche nel feto. Al contrario, la memoria di tipo semantico rappresenta una tappa tardiva dell'evoluzione (compare soltanto a partire dai mammiferi superiori) e si sviluppa più tardi rispetto a quella procedurale nel corso dell'infanzia. La memoria tipo associativo-procedurale dura sino alla tarda età ed è l'ultima ad essere colpita dalle malattie degenerative del cervello che si presentano nella vecchiaia. Mentre la memoria semantica o dichiarativa, che dipende dal buon funzionamento della corteccia cerebrale, può andare incontro a deficit anche gravi nel corso della terza età.

 

Ci sono però memorie più fredde e memorie più calde…

Indubbiamente alcune memorie ci vedono osservatori distaccati e altre attori fortemente implicati. Queste due dimensioni della memoria, che riguardano rispettivamente la registrazione e l'interpretazione emotiva dei ricordi, fanno parte di due diversi aspetti del ricordo, il punto di vista dell'osservatore o dell'attore. Per averne una immediata dimostrazione sarà sufficiente cercare di rievocare due differenti ricordi. Provate a ricordare una cena in casa di amici o al ristorante, in occasione di una festa di compleanno: fate parte del teatro del ricordo, cioè siete l'attore, oppure ne siete esclusi e potete descrivere la situazione dall'esterno, come se foste un osservatore che prende nota dei posti occupati dagli altri a tavola, del modo in cui sono vestite le persone, delle cose che succedono intorno? Adesso, invece, passiamo a un ricordo della lontana infanzia, un episodio che riguarda un gioco con altri bambini o un momento della vita in classe: state osservando o vi sentite coinvolti e siete "dentro il ricordo"? Quasi certamente nel primo caso avrete rievocato il ricordo della cena o della festa dal punto di vista dell'osservatore, nel secondo caso avrete avuto il ruolo dell'attore.

Questi due diversi aspetti della memoria, dal punto di vista dell'osservatore o da quello dell'attore, dipendono fondamentalmente da due variabili: il tempo trascorso e il coinvolgimento emotivo di chi ricorda. Le memorie più antiche ci vedono prevalentemente attori, è il caso delle memorie infantili o adolescenziali, mentre quelle più recenti ci vedono nella veste di osservatori, anche quando il ricordo ha una dimensione emotiva.

 

 Quindi i ricordi vengono codificati in una forma che ci vede attori e in un'altra che ci vede osservatori? Ma c'è un qualche interscambio tra queste due dimensioni?

Per dimostrare come questi aspetti della memoria siano bivalenti e sfaccettati, alcuni psicologi hanno chiesto a un gruppo di volontari di ricordare un certo numero di esperienze della propria vita, di classificarle in termini di memorie da "attore" o da "osservatore" e di valutarne la valenza emotiva. Una volta svolto questo compito le stesse persone dovevano invertire il loro punto di vista passando da quello di attore a quello di osservatore e viceversa: in questo caso la rievocazione suscitava meno emozioni, soprattutto quando le memorie rievocate in precedenza dal punto di vista dell'attore venivano rievocate da quello dell'osservatore. Per cogliere bene il significato di questo esperimento bisogna cercare di rievocare un proprio ricordo che susciti emozioni: ad esempio, pensate a una partita di calcio decisiva per la squadra del cuore, a una festa di compleanno importante, a una dichiarazione d'amore, insomma a un evento significativo e coinvolgente della vostra vita. Le emozioni che hanno accompagnato quel particolare momento della vostra vita ricompaiono ora, anche se attutite e trasformate, nella rievocazione del ricordo. Ma se vi si chiedesse di rievocare quel fatto o momento emozionante dal punto di vista dell'osservatore, la situazione cambierebbe e il ricordo sarebbe meno coinvolgente e più "freddo". La memoria, perciò, ha diverse dimensioni e chi ricorda, nello scegliere la prospettiva della rievocazione, determina anche il livello di connotazione emotiva delle proprie memorie che non sono soltanto rievocate o ricostruite ma costruite in modo diverso a seconda delle necessità, delle interpretazioni, degli stati emotivi.

 

Quali episodi della propria vita vengono ricordati di più?

Ovviamente gli episodi più significativi e in grado di suscitare emozioni. Tuttavia ognuno di noi privilegia le memorie più recenti in quanto quelle più antiche vanno incontro a un maggiore oblio. Per rendersene conto si può seguire la strategia messa a punto dallo psicologo Herbert Crovitz: pensate a una memoria di qualsiasi periodo della vostra vita che venga innescata da una parola, ad esempio la parola tavola. Quando l'avete rintracciata cercate di datare quel ricordo specifico. Ora seguite la stessa procedura (pensare a un ricordo e datarlo) in rapporto alle parole-stimolo farsi male e correre. Quale ricordo hanno suscitato in voi queste parole e a quando risalivano le memorie indotte da questi stimoli? In genere, le persone che sono state studiate da Crovitz ricordavano eventi abbastanza recenti della loro vita; era invece più difficile che i ricordi fossero legati al passato più lontano. Ad esempio, la maggior parte delle persone potrebbe dire che "ieri, a tavola, c'è stata una discussione su…" oppure che "la scorsa settimana, giocando a tennis, mi sono fatto male al polso", oppure che "la telefonata che ho ricevuto giorni fa dalla mai amica mi ha fatto male…" o infine, e abbastanza banalmente, che "oggi ho dovuto correre come un matto per prendere l'autobus" o che "questa settimana è stata tutta una corsa, meno male che si avvicina il week-end". E' invece abbastanza difficile che le persone, e probabilmente voi stessi, rievochino memorie molto lontane: "quando avevo 16 anni mi sono fatto male cadendo dal motorino" oppure "quando ero bambino si stava a tavola a lungo, adesso, invece…" D'altronde, diversi studi effettuati per conto delle società assicuratrici indicano che circa un quarto delle persone che hanno avuto -e denunciato- un lieve incidente di macchina l'anno precedente non se lo ricorda e, nei paesi dove è prevista la clausola del Bonus-Malus sulle assicurazioni automobilistiche, un notevole numero di assicurati si stupisce di non aver diritto a una riduzione o di dover pagare un sovrapprezzo del premio in quanto ha avuto un incidente il cui ricordo gli sfugge.

 

Che differenza esiste tra le esperienze visive e le memorie visive? Tra la realtà e l'immagine con cui questa viene raffigurata e ricordata?

Gli psicologi hanno studiato i legami che esistono tra percezioni visive, immagini visive e memoria partendo da un fenomeno a tutti ben noto, quello della persona "nota ma sconosciuta". Immaginate per un momento di trovarvi in un aeroporto o in una stazione o semplicemente per strada: in mezzo alla folla individuate il viso di una persona che vi è nota ma che non riuscite ad identificare. Sapete di conoscerla ma vi sfugge chi sia. E' una conoscenza casuale, una persona incontrata anni addietro, un negoziante, uno dei tanti personaggi minori della televisione? La vostra mente si trova in una situazione conflittuale: ha identificato nel suo archivio un volto noto, ha cioè rintracciato una memoria, ma non sa a chi esso corrisponda, non sa attribuirle un nome o una collocazione. Questa dissociazione tra il riconoscere e il ricordare dipende dalla maggior sensibilità del nostro cervello ai messaggi visivi che possono lasciarvi stabili tracce, anche senza dar luogo alla pienezza del ricordo, senza implicare la capacità di riconoscere quanto è noto. Eppure, malgrado questa incapacità di riconoscere quel volto, prestiamo fede alla nostra vista e riteniamo che il ricordo visivo sia veritiero, che ci parli di una reale memoria. La memoria dei sensi ha la meglio sulla capacità della mente di arrivare a riconoscere e contestualizzare il ricordo. Infatti gli stimoli visivi che vengono colti dai nostri occhi e inviati alla corteccia visiva (la parte del cervello che corrisponde all'occipite che li decodifica e traduce in immagini della realtà) hanno una presa notevole sulla nostra mente. Essi ci dicono che ciò che vediamo è un evento "vero", un'esperienza del mondo reale cui dobbiamo prestare fede perché ne siamo stati testimoni in diretta: come San Tommaso crediamo a ciò che vediamo, tocchiamo, gustiamo, odoriamo.

 

Percezioni visive e immagini mentali si verificano nelle stesse aree della corteccia cerebrale?

E' proprio così: la stessa corteccia occipitale che percepisce la realtà visiva produce immagini mentali, una sorta di fotogramma della realtà che ne fissa alcuni aspetti cui prestiamo attenzione. La differenza tra l'immagine che percepiamo e la relativa immagine visiva dipende dai meccanismi di filtro del nostro cervello che presta attenzione ad alcuni aspetti di una scena, trascurandone altri o rielaborandoli sulla base di precedenti esperienze. Ma il fatto che anche le immagini visive siano prodotte e depositate nella stessa parte del cervello che decodifica gli stimoli visivi dà loro notevole potere, tant'è che gran parte della dimensione soggettiva delle nostre memorie corrisponde ad immagini visive. Se poi attraverso le nostre fantasticherie o attraverso le immagini che provengono dai media vengono "create" false immagini mentali, queste possono assurgere al rango di memorie e farci ritenere che la fantasia corrisponda alla realtà.

 

La nostra memoria dipende più dalla memoria visiva o da quella verbale?

La maggior parte delle persone (circa il 60%) sono dotate di una buona memoria visiva, le altre (circa il 40%) di una miglior memoria verbale. Le prime dipendono in maggiore misura dall'emisfero destro del cervello: esse sono quindi più capaci di visualizzare i volti umani, mentre le seconde sono più in grado di rappresentare e descrivere col linguaggio in quanto sono dominate da un maggior ruolo dell'emisfero sinistro, responsabile delle funzioni linguistiche. Gli esercizi di visualizzazione servono a potenziare le capacità dell'emisfero destro.

 

Che rapporti esistono tra attenzione e memoria? Le immagini visive sono essenziali per ricordare?

La nostra capacità di rievocare esperienze del passato non si basa soltanto sulle immagini visive: così, si può ricordare qualcosa, ad esempio di aver letto un articolo di giornale, in quanto se ne rammentano aspetti critici senza che ciò implichi l'esistenza di immagini visive che raffigurino il luogo in cui abbiamo letto il giornale, le caratteristiche della pagina, eventuali fotografie che corredavano l'articolo. In molti casi posso ricordare di aver letto qualcosa proprio in quanto ricordo di aver avuto particolari reazioni, ad esempio, una sensazione di insofferenza o di disaccordo con le opinioni del giornalista e così via. L'intensità di un ricordo -in assenza di immagini che ne facilitino la fissazione- dipende dall'attenzione che abbiamo prestato a quella particolare esperienza. Nel caso specifico di un articolo di giornale esso viene tanto più ricordato quanto più mi sono soffermato su alcuni suoi aspetti critici, ne ho fissato alcuni punti-chiave, eventualmente ho preso appunti a margine del testo come fanno molti professionisti dell'informazione. Prestare attenzione, insomma, è un aspetto fondamentale della memoria e molte nostre incapacità o défaillance dipendono dal fatto che l'attenzione è stata labile o che nel momento in cui abbiamo fatto un'esperienza eravamo distratti.

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Per dimenticare qualcosa bisogna prima averla in memoria.

Secondo un detto americano "A man must get a thing, before he can forget it" (Bisogna possedere qualcosa prima di poterla dimenticare). Questo detto, basato su un intraducibile gioco di parole tra get (possedere, acquisire e quindi avere in memoria) e forget (dimenticare), indica che ciò cui non si presta attenzione, anche se usuale non entra a far parte della nostra memoria. Per rendervi conto di come anche gli oggetti o le situazioni più usuali lascino scarse tracce nella nostra memoria, sia perché non ritenendoli significativi prestiamo loro scarsa attenzione, sia in quanto possono essere legati a memorie implicite o procedurali, provate a rispondere a queste domande:

Qual è il colore in cima ai semafori?

Quali sono le due figure sul fronte e sul retro di una moneta da 500 lire?

Il vortice dell'acqua che finisce nello scarico del lavandino ruota in senso orario o antiorario?

Qual è la prima lettera in alto a sinistra nella tastiera di un computer? E l'ultima in basso a destra?

Quanti sono, in media i bottoni frontali di una camicia da uomo?

 
Ed ecco le risposte giuste; 1) rosso; 2) un profilo femminile e la piazza del Quirinale a Roma; 3) in senso antiorario (nell'emisfero al nord); 4) Q e M rispettivamente; 5) sette.

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Spesso si ha la sensazione che un ricordo sia "sulla punta della lingua": non emerge perché non siamo in grado di concentrarci, di fare attenzione?

Spesso abbiamo la sensazione di conoscere o sapere qualcosa ma non siamo in grado di accedere alla memoria che si riferisce a quella sensazione: ad esempio, siamo certi di aver conosciuto quella persona particolare ma ci è impossibile ricordare dove l'abbiamo incontrata o quale sia il suo cognome. Il fenomeno della "punta della lingua" dipende dal fatto che viene rintracciata soltanto una parte dell'informazione necessaria per produrre un ricordo totale. Per esempio, se penso ad una persona che incontro saltuariamente in ufficio e ricordo che il suo cognome inizia con la lettera R o che la capitale dell'Iraq inizia con la lettera B, possiedo soltanto parte dell'informazione per "innescare" il ricordo nella sua pienezza; ma se sono in grado di "aggiungere" altre informazioni, penso ad esempio ad un'altra persona che conosce il signor R o ad altre occasioni in cui l'ho incontrato o, nel caso della capitale dell'Iraq alle Mille e una notte o all'operazione "Tempesta sul deserto", posso ricordarmi che quel signore si chiama Rinaldi e che la capitale dell'Iraq è Baghdad. In sostanza, più "suggerimenti" o battute d'entrata si hanno, più è facile arrivare a ricostruire una memoria, si tratti del fenomeno della "punta della lingua" o di qualsiasi altro ricordo.

 

Perché la memoria che era "sulla punta lingua" ci viene improvvisamente alla mente?

Ognuno di noi ha avuto l'esperienza di ricuperare all'improvviso un nome che aveva sulla punta della lingua quando ormai aveva rinunciato a trovare la soluzione: questo improvviso raggiungimento deriva dal fatto che la nostra mente ha continuato a "lavorare" inconsciamente su quel problema, alla ricerca di quel nome e che un'informazione casuale, che richiama elementi critici dell'informazione mancante innesca una massa critica di informazioni necessaria per ricostituire quel ricordo.

 

Per ogni memoria esistono allora specifici suggerimenti? Ogni ricordo viene richiamato da una "battuta d'entrata" senza di cui esso non sarebbe accessibile?

Una memoria non viene registrata e classificata dalla mente nella sua integrità ma scomposta nei suoi diversi elementi, ognuno dei quali richiede un complesso lavoro che implica la formazione di categorie, generalizzazioni, paragoni con simili ricordi, connotazioni emotive: insomma una serie di caratteristiche che in seguito potranno servire da spunti o battute d'entrata per far riaffiorare quella memoria.

 

Quindi ogni ricordo non è una fotografia della realtà ma una sua rielaborazione?

Per avere un'idea di quanto i ricordi risentano di un processo di rielaborazione molto individuale si possono considerare i risultati di una ricerca effettuata per conto del Museum of Modern Art di New York. In questa ricerca venne chiesto a una parte del personale del museo di descrivere a mente alcuni quadri che erano stati a lungo esposti sulle pareti e che erano stati rimossi a causa di prestiti o restauri. I risultati dell'inchiesta indicarono che ogni persona, che pur aveva "visto" quel quadro quotidianamente per settimane o mesi, ne ricordava un aspetto particolare e generalmente contrastante col ricordo dei colleghi: chi ricordava un colore, chi una forma specifica, chi l'atmosfera, i personaggi, lo sfondo e così via. La ricostruzione verosimile del quadro non emergeva che dalle descrizioni di un esiguo numero di addetti al museo. La mente, insomma, appare ben diversa da un computer o da una macchina fotografica, può incamerare dettagli ma selezionarne solo alcuni nel suo lavoro di ricostruzione. Spesso non si tratta nemmeno di dettagli verosimili, dei pezzi di un puzzle che, messi insieme, consentono di ricostruire la vera immagine o il vero ricordo, ma di indizi che possono essere utili per il "lavoro" della memoria.

 

Per ricordare meglio è importante ripetere?

La ripetizione rappresenta il metodo più "primitivo" per memorizzare un testo o per ricordare una qualche esperienza: ci ripetiamo più volte, ad esempio, dove abbiamo situato o magari nascosto un qualche oggetto che ci prefiggiamo di ritrovare, ripetendo tra di noi, magari a mezza voce, che le chiavi della casa di campagna sono nel cassetto del comò o che il numero del bancomat è *****. La strategia può funzionare e, ogni volta che siamo di fronte al nostro usuale bancomat, il codice segreto riaffiora alla nostra mente. In alcune situazioni, però, ad esempio di fronte a un nuovo bancomat situato in un posto diverso da quello solito, il numero ci sfugge.

 

Come si può "codificare" un'esperienza in modo più pieno, elaborare memorie meno fragili e vaghe?

Una strategia è quella che ricorre alla cosiddetta "codificazione in profondità". In genere per ricordare meglio qualcosa, ad esempio un numero di telefono, tendiamo a ripeterlo diverse volte, in modo che si consolidi nella nostra mente. Un modo più efficace per codificare un'informazione, come il numero telefonico 44431223, e trattenerlo in memoria in modo più duraturo, è quello di renderla significativa, associandola ad informazioni che già esistono nella nostra mente: se, ad esempio, abbiamo 44 anni (la prima coppia di numeri), un anno in più dell'anno scorso (43, seconda coppia), siamo nati in dicembre (12, terza coppia) e il numero di casa è il 23 (ultima coppia di numeri) ricorderemo con notevole facilità il numero di telefono in quanto lo abbiamo "processato in profondità". Questa abilità, l'elaborazione in profondità, caratterizza molte persone dalla memoria eccezionale. Comunque, per apprezzare il significato dell'elaborazione in profondità fate questo piccolo esercizio: soffermatevi per un secondo su ognuna delle cifre che formano il numero seguente, poi sollevate gli occhi dal foglio e cercate di ricordare il numero ma al rovescio.

24619043485362716782.

Se siete arrivati all'1 o al 7 o meglio ancora al 2 siete nella media delle prestazioni, pochissimi vanno oltre la decima cifra. Praticamente nessuno arriva a ricordare l'intera sequenza.

  

Si può fare un esempio di "codificazione profonda"?

Immaginate di dovervi sottoporre a un test basato sulla memorizzazione di 10 parole diverse:

 automobile, pasta, pomodoro, giacca, fiori, albero, cane, penna, tavolo, palla.

 La soluzione più usuale è quella di imparare a memoria la sequenza delle dieci parole ripetendola più volte. Una seconda soluzione può essere quella di formarsi immagini visive di queste parole, singolarmente, a gruppi, nel loro insieme. Questa strategia funziona meglio in chi ha una buona memoria visiva. Una terza strategia è quella di raccontarsi una storia che contenga una qualche sequenza logica tra le parole: ad esempio, dovendo preparare una cena per degli amici salgo in automobile per andare a comperare pasta e pomodori ma nel negozio mi accorgo di aver dimenticato la giacca a fiori... Ognuno, insomma, può seguire una sua strategia. Immaginiamo ora che essa venga imposta dall'esterno, dallo studioso che fa in modo di orientare la memoria di chi impara così da determinare il tipo di codificazione. Ad esempio, se lo sperimentatore vuole studiare e stimolare una codificazione di tipo semantico, associata a significati e conoscenze, può chiedere alla persona che è oggetto dello studio se il pomodoro è un frutto o un alimento o un condimento: l'interrogato, per rispondere a questa domanda, deve necessariamente operare una codificazione di tipo semantico, cioè pensare al significato della parola pomodoro. Al contrario, se lo sperimentatore vuole indurre una codificazione non semantica della stessa parola, potrebbe chiedere di quante lettere o sillabe è composta la parola "pomodoro", se ci sono più vocali o più consonanti, quante lettere "o" sono presenti: in questo caso chi risponde si focalizza sul significato non semantico. Se si segue la strategia semantica, il numero di parole memorizzate sarà decisamente superiore a quello legato alla strategia non semantica, il che è abbastanza ovvio in quanto la memoria non è una fotografia ma un'interpretazione della realtà e i significati ne costituiscono un aspetto importante.

 

E' possibile rinforzare la memoria attraverso una codificazione semantica con cui si cerca di integrare l'informazione nuova nell'ambito di conoscenze preesistenti?

E' possibile e questo è un esempio: se chiedo a una persona "Il pomodoro è un attrezzo di cucina?" questa dovrà prestare attenzione al significato della parola -e quindi operare una codificazione semantica-, ma questa sua strategia non migliorerà il ricordo di quella parola quando a distanza di tempo gli chiederò se la parola "pomodoro" era nella lista che abbiamo scorso precedentemente. Se invece gli chiedo: "Il pomodoro è più molle di una prugna?" oppure "Hai mai fatto un sugo di pomodoro?" la memorizzazione è molto più efficace in quanto ho spinto quella persona a collocare un ricordo nell'ambito di un sistema di riferimento. La codificazione elaborata non funziona perché "vogliamo" ricordare qualcosa, cioè siamo disposti a compiere uno sforzo, ma perché compiamo associazioni mentali e confrontiamo le nuove esperienze con quelle preesistenti. Uno studente che vuole migliorare la propria memoria di un argomento di scienze o di storia non ha successo se si limita a studiare e ripetere ma se interpreta ciò che deve ricordare: si pone domande, confronta, fa una scaletta delle sequenze logiche, inventa metafore, traccia analogie ecc. Ricordare nuove informazioni comporta un vero e proprio lavoro attraverso cui inseriamo le novità nel contesto delle conoscenze esistenti e ristrutturiamo ciò che già conosciamo alla luce delle novità.

 

Attraverso quali altre vie è possibile migliorare la memoria? L'attenzione è importante?

Per potenziare il processo di memorizzazione bisogna innanzitutto curare il processo di percezione e quello di attenzione. Uno studio sull'attenzione prestata dai visitatori dei musei alle opere d'arte ha indicato che il visitatore medio spende circa 6 secondi per guardare un dipinto. L'impressione che ne ricava è indubbiamente fugace, e la memoria, se quest'impressione lascia un ricordo, è soprattutto la sensazione di un impreciso coinvolgimento emotivo. Qualcosa di simile avviene quotidianamente quando ci fermiamo al semaforo di un incrocio stradale o passiamo velocemente in automobile: un cartellone può attrarre la nostra attenzione e lasciare un'impressione, suscitare un'emozione. E' quanto si propone l'esperto in pubblicità: catturare la nostra attenzione e lasciare un'impressione.

 

Test di attenzione.

Un semplice test per valutare la memoria è il cosiddetto Digit span che riflette le capacità di attenzione di una persona. Per renderti conto delle tue capacità leggi queste successioni di numeri, una per volta, dedicando ad ogni serie circa un secondo e coprendo le seguenti con un cartoncino. Dopo ogni riga fermati, solleva lo sguardo dal libro, pronuncia ad alta voce i numeri e poi scrivili su un foglio di carta ma in ordine inverso: ad esempio, se i numeri sono 3 7 4, dì ad alta voce e scrivi, 4 7 3.

 1 6 5

3 2 6 4
5 6 1 9
1 9 3 6 7
2 8 5 6 3
9 7 6 3 8 2
5 8 1 4 3 9

In genere la media delle persone fornisce cinque risposte corrette, sei risposte corrette indicano una buona memoria ed attenzione. Al di sotto di tre esistono seri problemi di memoria.

 

Qual è la differenza tra l'attenzione pura e semplice e l'attenzione selettiva?

La maggior parte delle persone non analizza le situazioni in modo sistematico e si affida prevalentemente a processi inconsci che possono distorcere la percezione della realtà. Se vogliamo superare questo stadio iniziale e sviluppare vere capacità di concentrazione e memoria dobbiamo imparare ad analizzare correttamente i messaggi, soprattutto quelli visivi: con l'esercizio si può passare dal particolare al generale, cioè sviluppare capacità mnemoniche che saranno utili nella vita quotidiana. Per migliorare il modo in cui vengono registrati i ricordi e sviluppare questa capacità bisogna sviluppare forme di "attenzione selettiva". Questa implica anzitutto un coinvolgimento dei sensi, attraverso cui viene percepito il messaggio visivo. In secondo luogo essa si basa sull'individuazione dell'aspetto fondamentale o essenziale del messaggio e delle emozioni che esso suscita, e infine sull'interpretazione razionale, cioè sulla ricerca del tema del messaggio, del modo in cui esso è stato progettato e, infine, dei suoi elementi significativi.

 

Esistono esercizi per ampliare l'attenzione selettiva?

Un esercizio utile per sviluppare l'attenzione selettiva, e quindi la capacità di analisi e sintesi, può essere l'analisi di un quadro, di una litografia, di una foto d'arte. Immaginate ad esempio, di trovarvi di fronte al dipinto della Gioconda e di guardare il quadro nel suo insieme. In una seconda fase lasciatevi guidare da quegli elementi che vi colpiscono e che attirano la vostra attenzione, come ad esempio il sorriso, lo sguardo, la posa delle mani. In una terza fase bisogna invece analizzare il quadro sistematicamente, a cominciare dal soggetto centrale per poi passare agli aspetti del primo piano e dello sfondo. Ad esempio, nel caso della Gioconda, si può vedere che in basso a sinistra vi è una strada tortuosa mentre in alto, alle spalle del soggetto, vi sono degli accenni di colline e rilievi montuosi.

Questa esplorazione approfondita ed obbiettiva consente di cogliere alcuni punti significativi del dipinto: il messaggio principale affidato al soggetto, la struttura progettuale, gli elementi significativi che accompagnano il messaggio. Si può adesso passare a un'esplorazione soggettiva: abbandonarsi, ad esempio, alle associazioni che si manifestano nella nostra mente -quale persona ci ricorda il soggetto, dove abbiamo visto quel tipo di sorriso, per quale motivo e con chi eravamo a Parigi quando abbiamo visto quel dipinto la prima volta, quale stato d'animo deve aver animato il pittore e qual è il nostro stato d'animo di osservatore, che tipo di pennellata ha usato l'artista, quali colori, quali sfumature ecc. Questi due tipi di esplorazione visiva servono per potenziare la capacità di attenzione ed osservazione e quindi per potenziare la memoria

 

Come migliorare attenzione e concentrazione?

Per renderci conto di come la memoria dipenda dalla qualità dell'osservazione prendiamo un libro illustrato, non importa che si tratti di fotografie, dipinti o altro, e un foglio di carta. Scegliamo ora dieci illustrazioni diverse e diamo loro un numero: guardiamo appena cinque illustrazioni e, dopo ogni osservazione, descriviamo ciò che abbiamo visto su metà del foglio, che avremo piegato in modo da formare due colonne. Ora passiamo alle altre cinque figure, osserviamole metodicamente e descriviamo sul foglio quanto abbiamo osservato. Dopo un paio d'ore scriviamo su un foglio simile al primo quanto ricordiamo delle 10 illustrazioni, poi accostiamo e confrontiamo i due fogli: noteremo che la quantità e qualità dei ricordi che siamo in grado di richiamare in memoria dipende dalla qualità dell'osservazione. Questo semplice esercizio ci indica che si può sviluppare la capacità di fare attenzione e di concentrarla sui messaggi o sulle esperienze che ci interessano: è un'abilità che si può acquisire e potenziare e che man mano ci porta, automaticamente, a ricordare aspetti critici delle nostre esperienze.

 

Nel cervello esiste una sede della memoria?

I ricordi più "antichi" (vale a dire quelli che sono stati trasformati in memorie a lungo termine) sono distribuiti nei circuiti nervosi della corteccia, che è una specie di deposito dei ricordi selezionati e codificati da una specie di "archivista", la cosiddetta regione temporale media (ippocampo, amigdala e corteccia temporale) che codifica le esperienze, le scompone in categorie, le connota sulla base del loro significato e le distribuisce nelle varie regioni del cervello, corteccia cerebrale in primo luogo. Questa parte del cervello è uno snodo essenziale per paragonare tra di loro le esperienze, consentire di tracciare analogie, ristrutturarle in termini di significati. Poi, una volta compiuto questo lungo lavoro che può durare anche anni, l'archivista dispone di una mappa e possiede la chiave per andare a ricercare nei posti "giusti" le diverse parti e componenti dei ricordi, per ricostituire da un insieme di tesserine il puzzle della memoria.

 

I due emisferi cerebrali si comportano in modo simile nei confronti della memoria? Esistono differenze tra metà destra e metà sinistra del cervello?

I due emisferi cerebrali codificano diversi tipi di memorie: le informazioni e memorie di tipo semantico (verbali) vengono decodificate dall'emisfero temporale medio e dall'ippocampo sinistro mentre le memorie e informazioni visive e spaziali coinvolgono analoghe strutture dell'emisfero destro e parte della corteccia frontale. Il riconoscimento acustico di suoni conosciuti e le memorie musicali coinvolgono invece soprattutto l'emisfero occipitale destro. Questo spiega perché nelle persone in cui si verifica un'amnesia totale debbano essere necessariamente danneggiate le strutture del lobo temporale mediale e dell'ippocampo dei due emisferi, mentre i casi più lievi possono dipendere da lesioni più circoscritte e da un lato solo del cervello. (Figura 1)

 

Esiste quindi un chiaro rapporto tra gravi forme di amnesia e danni cerebrali?

L'amnesia può dipendere da un danno delle strutture del lobo temporale medio (connesse a ippocampo ed amigdala) o di quelle del diencefalo: queste due strutture sono allacciate tra di loro da fibre nervose che costituiscono il fornice. In modo schematico la regione temporale è connessa con l'amigdala e l'ippocampo e quest'ultimo con il diencefalo tramite il fornice in una sorta di circuito della memoria di cui, ovviamente, fa parte tutta la corteccia cerebrale che è connessa con quella temporale e, in modo diretto, con lo stesso ippocampo e diencefalo. (Figura 2) Tutte queste strutture nervose svolgono il loro ruolo nella cosiddetta memoria esplicita che implica un riconoscimento cosciente delle esperienze che abbiamo avuto e che affiorano spontaneamente o richiamiamo alla mente. Sensazioni o esperienze, per essere trasformate in memorie esplicite, devono passare per le strutture del lobo temporale mediale -come la corteccia entorinale- che sono una sorta di imbuto attraverso cui vengono filtrate tutte le sensazioni e percezioni e da queste, attraverso ippocampo e amigdala in cui vengono connotate per caratteristiche (memorie spaziali, emotive ecc.), devono raggiungere il diencefalo dove le esperienze vengono "assemblate" insieme e registrate sotto forma di memorie stabili nei circuiti del cervello. E' il circuito della memoria "corteccia temporale-ippocampo-diencefalo" che consente di connettere tra di loro le diverse componenti degli episodi della vita quotidiana (sensazioni, immagini mentali, emozioni, valutazioni della realtà) per trasformarle in memoria episodica, in eventi della nostra storia individuale. Ma queste strutture nervose giocano anche un ruolo nella memoria semantica come l'imparare nuovi nomi, registrare in modo stabile numeri di telefono, apprendere nuovi vocaboli. Perciò, a seconda della vastità del danno nervoso, i pazienti amnesici non si trovano soltanto nell'impossibilità di formare nuovi ricordi dei fatti della vita quotidiana o di accedere a una parte dei ricordi già esistenti ma hanno anche problemi di apprendimento.

 

Le amnesie che colpiscono alcune persone in seguito a disturbi circolatori cerebrali riguardano in eguale misura gli eventi vicini e quelli lontani nel tempo?

No, le memorie più antiche sono quelle più conservate, le più recenti quelle più fragili. Un cinquantenne può aver perduto la memoria per fatti della sua vita avvenuti uno, cinque o anche dieci anni prima ma ricordare eventi della propria infanzia, adolescenza e degli anni della gioventù. Questo tipo di dissociazione tra le memorie dei fatti autobiografici più vicini o più distanti nel tempo dipende dal fatto che le memorie più antiche, depositate nei circuiti nervosi distribuiti in diverse aree della corteccia, sono più "importanti" perché in genere sono quelle che si riferiscono agli anni "fondamentali", quelli in cui si è costituito il nucleo della personalità e dell'identità di una persona. Le memorie più antiche, inoltre, sono state oggetto di ripetizioni e "rimuginamenti": riandando col pensiero a quelli che riteniamo ricordi fondamentali, o riferendoci a queste esperienze "fondatrici" per paragonarle ad altre non facciamo che contribuire al loro consolidamento.

Esistono numerose ricerche che provano che i ricordi più antichi sono quelli meglio custoditi e che meno risentono dell'amnesia. Se si mostrano a pazienti amnesici fotografie che ritraggono personaggi molto noti, verranno riconosciuti quei personaggi che erano famosi molti anni prima piuttosto che quelli caratterizzati da una notorietà più recente: un paziente cinquantenne colpito da amnesia retrograda può ricordare bene il volto di Clark Gable, o di John Kennedy o di Marylin Monroe o di Charles De Gaulle, ma non riconoscere quello di Brad Pitt o di Jovanotti. Anche una ricerca sugli effetti dell'elettroshock nei pazienti psichiatrici indica che questo trattamento può disorganizzare le memorie più recenti, ad esempio quelle relative ai programmi televisivi dell'anno in corso o di qualche anno prima, ma non quelle che si riferiscono a serial e a programmi del loro più lontano passato.

 

Ma le amnesie quotidiane, che colpiscono tutti noi, da cosa dipendono?

Molto spesso non ricordiamo qualcosa perché siamo confusi da altri stimoli (interferenza) o perché siamo stressati o ansiosi: in altri casi ci troviamo al di fuori di un contesto con cui associamo un particolare ricordo. Ad esempio, ci può capitare di non riconoscere il nostro giornalaio se lo vediamo al cinema o alla stazione, mentre non abbiamo alcun problema di riconoscimento quando è nel suo "contesto". Le associazioni tra memorie e contesto sono fondamentali: se andiamo in camera da letto per prendere un oggetto e siamo distratti da qualcosa possiamo dimenticare il motivo per cui ci eravamo recati in camera, ma se ritorniamo al punto di partenza ci potrà balzare alla mente l'oggetto della nostra amnesia, proprio in quanto abbiamo pensato alla spazzola in quel luogo particolare, in un contesto specifico.

 

Come mai conserviamo ben pochi ricordi della prima infanzia?

Gli psicologi definiscono questa perdita di memoria col termine di amnesia infantile. Sulle cause dell'amnesia infantile esistono due teorie diverse: buona parte degli psicologi sostengono che l'amnesia infantile sia legata al passaggio da una mente prelinguistica, che registra esperienze sulla base di immagini visive, sensazioni ed emozioni a una mente strutturata dal linguaggio e dalle sue regole che fa sì che, quando rievochiamo memorie, ci parliamo e raccontiamo storie in silenzio: "Quella volta che sono andato in campagna e, per la prima volta, ho visto le galline che razzolavano", oppure "quel compagno dell'asilo che sedeva a fianco a me e con cui mi sono bisticciato per un motivo che non ricordo". E' vero che gran parte dei nostri ricordi sono di tipo linguistico e che a un certo punto della nostra infanzia si verifica una specie di ricambio, di sostituzione delle memorie prelinguistiche con quelle linguistiche, anche in quanto maturano i centri del linguaggio, situati nell'emisfero sinistro, che sono ancora immaturi nei primi anni di vita. La teoria linguistica è quindi per metà culturale e per metà biologica in quanto il linguaggio, e la classificazione linguistica dei ricordi, è anche espressione del processo di sviluppo del cervello. Tuttavia non tutti i ricordi, anche quelli degli adulti, sono basati su un silenzioso linguaggio della mente, il che fa pensare che vi siano altri motivi alla base dell'amnesia infantile. La spiegazione più plausibile è quella che attribuisce all'immaturità della corteccia frontale -meno sviluppata di altre aree corticali- la causa del blocco dei ricordi precoci. Quest'area del cervello, situata dietro la fronte, svolge insieme alle altre strutture nervose che abbiamo passato in rassegna, un ruolo essenziale non tanto per registrare e codificare i ricordi -che sono invece distribuiti in diverse aree della corteccia cerebrale- ma per consentire l'accesso e richiamare alla mente i ricordi, selezionando quelli più appropriati. Secondo quest'ipotesi, tracce delle nostre esperienze infantili sarebbero quindi sepolte in qualche ambito dei nostri circuiti nervosi ma non possono essere riportate alla luce, proprio come avviene in alcuni casi di lesioni e danni della corteccia frontale nell'adulto.

 

Con l'età la memoria diminuisce: cosa può fare un anziano per tenerla in efficienza?

I punti da tenere presenti sono tre, uno soltanto dei quali riguarda direttamente la memoria: il primo concerne lo stato di benessere cerebrale, che dipende in gran parte dalla ossigenazione del tessuto nervoso. Una moderata attività fisica è necessaria ad ogni età e, soprattutto negli anziani, contribuisce a una buona irrorazione del cervello e, di conseguenza, a una buona memoria. Non esistono infatti -purtroppo- farmaci della memoria; la memoria dipende anzitutto dall'efficienza del cervello e quindi dallo stato dei vasi che lo irrorano meno grassi nella dieta e maggiore attività fisica sono già un buon punto di partenza, mentre nelle persone non più giovani interventi più radicali per contrastare danni ai vasi sanguigni richiedono una terapia medica. Il secondo punto è già un po' più specifico e riguarda la propria capacità di "ridurre" l'attività del cervello in modo da consentire una migliore concentrazione, com'è utile ai ragazzi che studiano e si preparano agli esami. Chinque può aumentare la propria concentrazione "tagliando" quegli stimoli, esterni o interni che si traducono in una maggior eccitazione nervosa. Ad esempio, gran parte dei problemi di memoria dipendono spesso nei giovani da problemi emotivi: poter controllare le proprie emozioni, risolvere le situazioni stressanti, imparare a prestare attenzione, significa tagliare fuori dal cervello fattori di disturbo che deconcentrano. L'ultimo punto è più specifico: se non volete praticare il metodo dei loci, che indubbiamente migliora le prestazioni mnemoniche, aiutate il processo di memorizzazione fissando i concetti chiave attraverso appunti, schemi, o visualizzando alcuni punti, concreti o astratti, per mezzo di immagini visive: queste servono da "battute d'entrata" e, con l'abitudine, rappresentano validi suggerimenti per richiamare alla mente o ricuperare memorie. Come abbiamo visto, le immagini visive vengono memorizzate in modo molto valido nelle stesse aree della corteccia con cui percepiamo il mondo visivo. Esse ci appaiono quindi molto vicine alla realtà, estremamente verosimili e, per questo motivo, ancorano in modo potente quei concetti che associamo loro.

 

La memoria semantica considera in modo diverso i vari aspetti della realtà? Distingue tra i vari tipi di esperienze oppure è qualcosa di omogeneo, un contenitore in cui vengono depositati tutti i ricordi legati a significati?

La memoria semantica è suddivisa in diversi compartimenti e competenze. A prima vista si direbbe che la memoria semantica, che come abbiamo visto riguarda il modo in cui la nostra conoscenza della realtà e del mondo che ci circonda è rappresentata nel cervello, sia suddivisa in categorie e specializzazioni. Ad esempio, in alcuni pazienti descritti dal neurologo americano Antonio Damasio esiste una chiara dissociazione tra la capacità di descrivere oggetti inanimati e quella relativa ad oggetti animati: un asciugamano viene definito un oggetto usato per asciugare le persone, una carriola un oggetto per trasportare le cose, un aeroplano un oggetto che trasporta la gente nel cielo mentre la descrizione di oggetti animati, come un insetto, un uccello, un cane ecc. è totalmente errata e non appropriata. Altri pazienti conservano invece una buona memoria semantica per gli oggetti animati, che vengono descritti in modo appropriato, ma rivelano un'amnesia per gli oggetti inanimati che non riescono ad identificare. Ciò significa che la nostra memoria -o la nostra mente- è una specie di cassettiera in cui vengono ricordati ricordi di un tipo o dell'altro, assortiti in cassetti diversi a seconda di categorie stabilite dal cervello? La spiegazione è probabilmente diversa: la distinzione che facciamo tra animali e piante da un lato e oggetti d'uso dall'altro dipende dal fatto che noi osserviamo i primi mentre usiamo i secondi, e li utilizziamo sulla base di azioni motorie (giriamo un cacciavite, alziamo e spingiamo una carriola, guidiamo una macchina, saliamo su un treno ecc.): ciò crea due diverse categorie nella nostra memoria, proprio perché impieghiamo diverse parti del cervello per riconoscere e ricordare animali oppure oggetti.

 

Che ruolo gioca il linguaggio e che ruolo giocano altre attività mentali, come le percezioni o la rappresentazione dei movimenti, nelle memorie semantiche?

Le memorie dotate di significato non dipendono soltanto da una mente linguistica ma anche da una mente che dipende da sensazioni e movimenti, un fatto che viene spesso dimenticato e che porta a dare minore importanza agli aspetti concreti della nostra esistenza e delle nostre esperienze. Ecco, ad esempio, un esperimento che sottolinea l'importanza degli aspetti non-linguistici nelle memorie semantiche: ad alcuni volontari sono state mostrate figure di animali e di oggetti e sono state misurate le variazioni dell'attività del cervello in diverse aree della corteccia utilizzando la tecnica della PET che indica quali parti di quest'organo siano più attive in quanto "lavorano" di più. Il riconoscimento visivo degli animali e degli oggetti inanimati induceva un aumento simile dell'attività della parte inferiore del lobo temporale e occipitale, le strutture addette alla percezione visiva e al riconoscimento delle forme, animate o inanimate che siano; gli oggetti inanimati, però, stimolavano anche l'attività della cosiddetta corteccia premotoria, l'area corticale che pianifica i movimenti. Quindi, riconoscere un oggetto, cioè attivare la memoria che ne abbiamo, dipende da quelle aree cerebrali che servono per pianificare i movimenti, dalle azioni che faremmo se usassimo quell'oggetto o strumento.

Il modo in cui classifichiamo le memorie semantiche, o in parole più semplici il modo in cui la nostra mente suddivide la realtà in diverse categorie, non passa quindi soltanto attraverso il linguaggio, lo strumento di classificazione per eccellenza, ma attraverso aspetti più concreti e materiali, cioè le azioni e i movimenti che noi compiamo quando manipoliamo il mondo che ci circonda, quando usiamo strumenti, tocchiamo gli oggetti, ci spostiamo ecc. La memoria semantica, cioè il modo in cui definiamo ogni aspetto della realtà, dipende quindi anche dal modo attivo in cui esploriamo il mondo, il che può esserci utile per potenziare alcuni aspetti della memoria.

 

Bisogna quindi dare maggior rilievo ai sensi e alla motricità nell'apprendimento?

Senza dubbio: quando ci proponiamo di imparare qualcosa di nuovo, e quindi di formare memorie attraverso cui rappresentiamo le nuove esperienze, dobbiamo sfruttare di più le nostre capacità sensoriali e motorie, essere più concreti anziché prevalentemente astratti. Ad esempio, per poter costruire una rappresentazione di un'esperienza, si tratti della lettura di un libro, di una lezione o di qualsiasi forma di training, bisogna saper riconoscere le parole-segnale, vale a dire quelle indicazioni che rappresentano gli indizi percettivi, i segnali utili a rappresentarci una nuova situazione, gli interruttori che fanno scattare un meccanismo del pensiero. Se, ad esempio, ascoltiamo la frase: "esistono quattro tipi di motori a scoppio", la parola-segnale è "tipi" ; se leggiamo o ascoltiamo la frase "le fasi della vita sono quattro" la parola-segnale è "fasi"; nella frase "Nel cervello la sostanza bianca è costituita da fibre nervose mentre quella grigia da neuroni", la parola-segnale è "mentre"...

Le parole-segnale costituiscono un valido indizio per rappresentare la realtà, anche se spesso prestiamo loro scarsa attenzione. Ad esempio, le parole: parti, tipi, componenti, elementi, sezione, livello, gruppo ecc. ci parlano di gerarchie; le parole: passi, stadi, fasi, prima, dopo, sviluppo, cicli ecc. di sequenze; la parole: mentre, a volte, tuttavia, ma, in alternativa ecc. di matrici, così come altre parole: sopra, sotto, in cima, in basso, a sinistra, a destra, di rappresentazioni grafiche, ad esempio della pianta di una casa.

Anche noi, con un minimo di attenzione, possiamo riconoscere e utilizzare le parole-segnale: man mano che impariamo ad identificarle, saremo sempre più in grado di rappresentarci mentalmente -o di schematizzare su un foglio- una realtà nuova e quindi di strutturarla in termini di apprendimento. L'importante è compiere un lavoro attivo, nell'ascolto come nella lettura: un'attività in cui la maggior parte dei lettori si comportano passivamente o si limitano a sottolineare o a evidenziare il testo con pennarelli. Queste due strategie sono utili soltanto se, attraverso la sottolineatura o evidenziazione, vengono poste in evidenza parole-chiave: una lettura efficace passa invece attraverso un sistema di marcatura simbolica che utilizza "pittogrammi", segni che comunicano alcuni concetti o gerarchie di concetti.

Molti di noi, ad esempio, utilizzano segni come ! ? = per indicare rispettivamente che un punto è particolarmente importante, che suscita interrogativi, che da quanto detto ne deriva che… Un sistema di marcatura più approfondito può implicare l'uso di segni come # per un titolo o definizione del soggetto generale e di altri metodi per "marcare" il testo, ad esempio:

argomento

sottoargomento

R categoria che si ripete

D dettaglio

1, 2, 3… sequenza

a, b, c… lista

 

Per ricordare meglio, oltre che intervenire attivamente su un testo attraverso segni e azioni che danno una nuova forma all'esperienza, è anche importante fare collegamenti? In alte parole, è utile creare dei ponti tra quanto conosciamo e quanto invece ci risulta nuovo?

Apprendimento e memoria migliorano quando costruiamo connessioni esterne, vale a dire quando correliamo nuove informazioni con quelle preesistenti. Una delle strategie più utili consiste nel tracciare analogie: la nostra mente, infatti, cerca di analizzare in termini di affinità due situazioni diverse ma che presentino qualche punto di contatto. Ad esempio, se conoscete come funziona un motorino è più facile, attraverso l'uso di analogie, comprendere come funziona un'automobile. Se abbiamo studiato le cause della prima Guerra Mondiale, è più facile cercare di "leggere" la seconda Guerra alla luce di quanto già sappiamo. Nella sua definizione più schematica, il pensiero analogico implica il passaggio da una "fonte" - o realtà - nota a un "bersaglio" - o realtà - ignoto ed è basato sul fatto che esiste una somiglianza tra elementi che appartengono a realtà diverse e che sono presenti o devono essere ricercati, dei parallelismi "strutturali". Andare alla ricerca di analogie tra quanto si conosce e quanto va appreso è estremamente utile, sia che si tratti di somiglianze di tipo reale (ad esempio le cause della prima e seconda Guerra Mondiale) sia che si tratti di somiglianze di tipo "fantastico" che utilizzano immagini che si fissano nella nostra mente: raffigurarsi una qualche realtà in modo concreto (la forza è un culturista, la lentezza è una lumaca ecc.) può essere utile per agganciare concetti astratti a rappresentazioni concrete. Le informazioni così registrate e rielaborate hanno una migliore possibilità di essere memorizzate in modo duraturo. Questo tipo di rielaborazione viene spesso chiamata col nome di "rielaborazione cognitiva": essa è di gran lunga superiore alle informazioni registrate per via uditiva, visiva o audiovisiva.

 

Quindi le immagini mentali sono utili?

Sin dall'antichità gli oratori utilizzavano un metodo per ricordare, una vera e propria "arte della memoria" o metodo del "loci". La leggenda fa risalire l'origine del metodo a Simonide, poeta ed oratore greco vissuto tra il quarto e il quinto secolo prima di Cristo. Mentre Simonide partecipava a un banchetto due giovani lo chiamarono dalla strada per parlargli in privato, lontano dal rumoroso vocio dei commensali. Non appena egli fu all'aperto udì uno schianto alle sue spalle: le travi del tetto avevano ceduto all'improvviso e il tetto era crollato sui convitati provocando una strage. Identificare le vittime era ben difficile, tale era il peso dei travi e delle opere in pietra che erano precipitate, ma la memoria di Simonide fu di grande aiuto: egli poté scrivere una lista dei partecipanti sulla base del posto che occupavano intorno al lungo tavolo di legno. Con un piccolo sforzo di memoria, l'oratore greco riuscì a dare ad ognuna delle vittime un nome e si dice che fossero varie decine. Alla gente che gli chiedeva come mai avesse potuto tracciare una mappa così dettagliata dei convitati, Simonide rispose che si era limitato ad utilizzare il metodo dei loci: una strategia che consente di memorizzare informazioni diverse associandole ad immagini mentali e "collocandole" in luoghi ben noti. Quando si è compiuto questo "lavoro", è sufficiente passare in rassegna i luoghi diversi, dal primo al secondo e così via, come si narra avesse fatto Simonie: da allora si dice, appunto, "in primo luogo" ecc.

 

In che consiste il metodo dei loci?

Questo metodo si basa su associazioni tra una serie di luoghi noti e una serie di parole, frasi o sequenze logiche da memorizzare. Il metodo sfrutta al tempo stesso logica (la sequenza di loci familiari) e fantasia (le immagini che corrispondono agli oggetti o concetti), portando a risultati che migliorano nel tempo, man mano che ci si abitua al suo uso.

Facciamo un esempio banale e immaginiamo che una persona debba compiere una serie di commissioni che implicano una visita in banca, alla posta ecc. Le voci da ricordare devono essere "collocate" in luoghi noti. Questi ultimi devono avere una sequenza logica: ad esempio, se nel tornare a casa la routine è: portone, ingresso, cassetta delle lettere, ascensore, pianerottolo, porta di casa, ingresso ecc., questa è una buona lista di loci. Alternativamente si possono usare le stanze di casa, disponendole secondo una logica che implichi una loro visita in senso orario, o una sola stanza con i suoi mobili o oggetti significativi cioè oggetti o mobili che ci sono cari o usuali, come la poltrona preferita, una lampada ecc.:

 

Voci da ricordare..... Loci

1.Banca ..........................1. Portone
2.Tintoria .......................2. Ingresso
3.Ufficio postale..............3. Cassetta lettere
4.Assicuratore................4. Ascensore
5.Fioraio.........................5. Pianerottolo
6.Meccanico.................. 6. Porta di casa

 

Innanzitutto bisogna pensare alla prima cosa da fare, andare in banca, e associarla al luogo "portone". Ad esempio immaginate che al centro del portone sia installato un Bancomat o che vi sia difficile aprire il portone, di per sé già pesante, in quanto una massa di monete d'oro è ammucchiata dietro i battenti. Soffermatevi sull'associazione portone-Bancomat (oppure portone-monete) ma limitandovi ad una sola associazione che visualizzi un'immagine, per quanto sciocca essa vi possa apparire.

Ora fate lo stesso per le altre commissioni da fare: l'associazione Ufficio postale-Cassetta delle lettere è fin troppo facile, per quella Assicuratore-Ascensore potreste immaginare che l'assicuratore, che conoscete, sia rimasto intrappolato nell'ascensore della vostra casa, per quella Fioraio-pianerottolo potreste visualizzare che quest'ultimo sia invaso da cesti di fiori, o sia un prato coperto di ciclamini ecc.

Trattandosi della prima volta che si pratica questo metodo è necessario impiegare almeno10 secondi per visualizzare le associazioni tra i loci e le commissioni o voci da ricordare, senza saltare velocemente le associazioni che sembrano ovvie o semplicissime, ad esempio quella tra Ufficio postale e Cassetta delle lettere, perché così facendo si rischia di mettere a repentaglio tutta la catena di associazioni. E' un metodo che richiede buona volontà e che funziona bene con le persone che hanno una buona memoria visiva: una volta fatta un po' di pratica, nelle occasioni successive si procede più rapidamente. Ma è un metodo che precede le agende elettroniche… E' utile come strategia di servizio: per potenziare la nostra memoria bisogna invece ricorrere alla codificazione profonda, al potenziamento dell'attenzione selettiva.

 

Le immagini si equivalgono nel loro potere di generare memorie oppure alcune immagini hanno la capacità di stimolarci di più e quindi di essere ricordate più a lungo e meglio?

La nostra reattività alle immagini dipende in gran parte dal ruolo di "sentinella" esercitato dall'ippocampo, la struttura nervosa che interviene in tanti aspetti della memoria: se ci troviamo di fronte ad immagini di paesaggi o di volti usuali, l'ippocampo non si attiva; ma se l'immagine ci fa vedere un paesaggio incongruo, ad esempio il duomo di Milano con una cupola, piazza San Pietro con un fiume che l'attraversa o un volto umano con un naso orizzontale anziché verticale, l'ippocampo reagisce e segnala la novità, stimolando l'attenzione e i processi di codificazione.

La nostra risposta ad alcuni tipi di stimoli incongrui è una caratteristica innata. Ad esempio, i lattanti reagiscono alla fotografia di un volto umano "anormale" -con la bocca al posto del naso o con un solo occhio- in modo nettamente superiore che alla fotografia di un volto normale. Col tempo, man mano che aumentano esperienze e apprendimenti, la nostra conoscenza della realtà e visione del mondo fa sì che ci attendiamo che alcune regole vengano rispettate o che alcune memorie "note" non vengano sovvertite. I pubblicitari conoscono bene queste leggi della mente e, se vogliono catturare la nostra attenzione e penetrare nella nostra memoria, utilizzano immagini incongrue, come ad esempio una donna con tre gambe o un oceano da cui emergono atolli su cui si innalzano grattacieli: in tal modo stimolano l'ippocampo che può allertare la corteccia prefrontale a codificare quello stimolo.

 

E' possibile leggere in fretta e ricordare di più?

Esistono vari metodi che puntano a una lettura più rapida e più efficace in termini di memoria. Probabilmente il metodo migliore è quello noto con la sigla SQ3R che in inglese sta per: S = Survey (sguardo generale), Q = Question (porsi quesiti), 3R sta per Reading, Reciting, Reviewing (leggere, ripetere, rivedere). Questo metodo viene ancora impiegato in numerose scuole e università statunitensi in quanto consente un'alta percentuale di richiamo in memoria, circa l'80% dopo otto ore contro il nomale 20% che caratterizza il metodo di lettura tradizionale.

Per mettere in pratica il metodo SQ3R scegliete il capitolo di un libro di testo scolastico o di un saggio e seguite questa strategia:

Date uno sguardo generale al testo, scorrendo rapidamente le pagine per farvi un'idea generale dell'argomento di cui si parla (man mano, con la pratica acquisirete un colpo d'occhio migliore).

Ora analizzate titoli e testatine che accompagnano il testo e trasformateli in quesiti: cercate le risposte a questi interrogativi nel testo, senza però leggerlo in modo dettagliato.

Leggete con attenzione il testo, soffermandovi sulle idee conduttrici, o punti chiave, che altro non sono che le risposte ai quesiti formulati in precedenza.

Alla fine di ogni paragrafo o capitoletto ripetete a voi stessi le idee conduttrici, eventualmente prendendo qualche appunto schematico.

Subito dopo rivedete il testo per ripercorrere le idee conduttrici e la loro sequenza, al tempo stesso controllate i vostri appunti. A questo punto vi siete formati una griglia schematica dell'argomento: inserite dentro questa griglia eventuali particolari e rivedete gli appunti. Considerate ora in modo critico quanto è stato esposto dall'autore, anche se le vostre obbiezioni potrebbero essere scarsamente significative: cercate di scovare eventuali punti deboli, pregiudizi, semplificazioni, incongruenze. Quest'ultimo approccio critico è utile per rendere più attivo l'apprendimento e la memorizzazione.

In conclusione, il metodo SQ3R si basa sulla capacità di identificare rapidamente la traccia generale di un capitolo o saggio, di metterne in evidenza i punti chiave e la loro concatenazione e, infine, di fissare la propria attenzione attraverso un confronto tra i propri appunti (la scaletta tracciata dal lettore) e i punti salienti evidenziati dall'autore o al centro della sua esposizione. Fare obbiezioni e esercitare la critica amplifica gli "agganci" della memoria e dell'apprendimento in quanto gli argomenti esposti dall'autore vengono passati al vaglio dei propri sistemi di riferimento.

  

Esistono dei metodi per identificare rapidamente di cosa tratta un saggio o un capitolo di un libro e, soprattutto, per ricordare meglio?

Saper individuare rapidamente il contenuto di un libro, è un'abilità utile che si può apprendere accanto a vere forme di lettura rapida. Man mano che si pratica questo esercizio si acquisisce la capacità di identificare gli aspetti più significativi di un saggio. Per fare questo esercizio, particolarmente utile per gli studenti, prendete un saggio (non un romanzo) che abbia una copertina, un indice generale, un'introduzione e un indice delle voci.

1. Aprite il rovescio o la quarta di copertina e leggete le informazioni fornite dall'editore.

2. Leggete la prefazione o l'introduzione scritta dall'autore del libro per rendervi conto del messaggio principale del saggio.

3. Andate all'indice generale e notate come l'informazione è organizzata in parti, capitoli, sottocapitoli.

4. Scorrete le pagine del libro soffermandosi sui titoli di alcuni paragrafi che possano interessarvi.

5. Ora posate il libro e scrivete tre domande su argomenti che abbiano suscitato la vostra curiosità nel corso della lettura preliminare.

6. Rileggete quanto avete scritto e cercate una parola-chiave che ritenete possa essere nell'indice delle voci. Se la parola manca cercate un sinonimo e se anche questo non esiste ritornate all'indice generale per vedere se un argomento corrisponde alla vostra domanda.

7. A questo punto andate alle pagine del libro che trattano la vostra domanda e leggete quanto vi è scritto: eventualmente andate ad altre parti del libro che trattano quell'argomento finché avete sufficiente informazione.

8. Usate la stessa procedura per le altre due domande.

Questo semplice esercizio dovrebbe insegnarvi ad usare un libro come risorsa per apprendere, certamente non per leggere e gustare un romanzo…

 

Alcune situazioni o stimoli fanno venire in mente ricordi lontani. E' sufficiente uno stimolo oppure si tratta di condizioni eccezionali e in genere sono necessari diversi stimoli?

A volte è sufficiente un solo stimolo, come un particolare profumo o tono di voce per innescare una memoria, a volte gli stimoli devono essere più numerosi, sia che si tratti di stimoli esterni che di stimoli prodotti dalla nostra stessa mente, alla ricerca di un ricordo. Pochi stimoli sono sufficienti per innescare memorie forti o recenti, col tempo, invece, sono necessari diversi stimoli per riprodurre una memoria: ma numero degli stimoli in grado di innescare una memoria diminuisce man mano che il tempo trascorre, così che il ricordo diventa sempre più sfocato. Questo fenomeno risulta chiaramente dagli studi di una psicologa, Marigold Linton, che ha condotto su se stessa una delle ricerche più accurate in tema di memorie autobiografiche. Per quasi quindici anni ha messo per iscritto, giorno dopo giorno, la descrizione di almeno un paio di eventi di rilievo, o che almeno tali le parevano al momento: a distanze varie, mesi o anni, Linton è andata a rileggersi quei ricordi ed ha visto che, inizialmente, i ricordi sono vivi e non sono necessari molti suggerimenti per rievocarli, ma man mano che il tempo trascorre e i ricordi si affievoliscono, il numero di suggerimenti in grado di far ritornare alla mente quell'esperienza si assottiglia sempre più. C'è bisogno di uno stimolo che combaci in modo quasi perfetto con la memoria di un tempo perché un antico ricordo venga ricuperato, come ad esempio sa chi non ritorna più da tanto tempo in un luogo che una volta gli era familiare: all'inizio si può verificare un senso di spaesamento ma all'improvviso un qualche particolare in apparenza insignificante può ridestare il ricordo nella sua interezza. All'inizio, ogni chiave è buona per aprire la serratura del ricordo, col tempo la chiave è sempre più specifica.

 

Gli stimoli che innescano una particolare memoria sono sempre gli stessi o man mano si trasformano?

Il rapporto tra stimolo e ricordo non è statico ma varia nel tempo; così, tra i tanti stimoli che possono fare affiorare un ricordo, ne vengono selezionati alcuni o altri a seconda del modo in cui il ricordo viene ristrutturato nel tempo. Immaginate, ad esempio, che una persona vi sia inizialmente antipatica e che una serie di stimoli -tono metallico della voce, sguardo trasversale, un'espressione facciale sgradevole- siano in grado di innescarne il ricordo, sia perché di fronte a una voce col timbro metallico voi vi dite che quel tono vi ricorda la voce di quel vostro conoscente antipatico, sia perché la vostra mente, se vuole ricordare quella persona, usa questi stimoli per ricostruirne l'immagine, le caratteristiche, le sensazioni che suscita in voi. Immaginate adesso che col tempo e per una qualche serie di ragioni, quella persona vi risulti ora meno antipatica, se non addirittura simpatica: altri stimoli saranno ora necessari per rievocarla in quanto è cambiato il significato del ricordo e, di conseguenza, l'ambiguo rapporto stimoli-memoria.

 

Sono note le basi biologiche della memoria?

Gran parte delle nostre conoscenze dipendono da ricerche effettuate su una lumaca marina, l'Aplysia in cui è stata analizzata la forma più semplice di apprendimento e memoria, cioè l'abituazione, un comportamento che permette di non reagire a stimoli ripetuti. Ad esempio, un gruppo di storni fugge le prime volte che ode un forte rumore ma poi ne memorizza le caratteristiche (si abitua) e non fugge più; un cane può balzare verso la porta se vede che il suo padrone prende in mano il guinzaglio ma se il padrone non esce e di tanto in tanto ripete la stessa azione il cane si "rassegna", cioè si abitua; una nuova sveglia può allarmarci col suo rumoroso ticchettio ma dopo qualche ora o qualche notte non la notiamo più, ci siamo abituati. In modo simile l'Aplysia reagisce a uno stimolo tattile -un sottile getto d'acqua che la colpisce- con un comportamento autoprotettivo, ritraendo la branchia. Se però i getti d'acqua continuano con la stessa cadenza, l'Aplysia si abitua e questo comportamento resta per qualche tempo nella sua memoria. I ricercatori hanno potuto stabilire che il comportamento di abituazione dell'Aplysia dura nel tempo (memoria a lungo termine) in quanto si sono verificati cambiamenti a livello dei circuiti nervosi: le sinapsi tra il neurone sensitivo (che reagisce allo stimolo tattile) e quello motorio (che attiva i muscoli della branchia) diventano più stabili e comunicano più facilmente a mezzo dei messaggeri nervosi in quanto l'esperienza è stata consolidata. Gli studiosi dei meccanismi della memoria hanno stabilito che il consolidamento di un'esperienza si basa su meccanismi abbastanza simili nella maggior parte delle specie animali, dalle lumache ai topi, ai mammiferi superiori e alla stessa specie umana: ovviamente le modifiche a livello delle sinapsi interessano strutture nervose tipiche dei mammiferi come l'ippocampo che è una specie di crocevia di tutti i circuiti in cui vengono depositati i ricordi.

 

In che modo la nostra mente classifica i ricordi personali?

Quando parliamo del nostro passato ci riferiamo generalmente a tre diversi tipi di "strutture" autobiografiche: i periodi della nostra vita, che vengono misurati in anni o decenni, ad esempio gli anni dell'infanzia in cui si andava in montagna e si stava in quella casa vicino al torrente; gli eventi a carattere generale, che vengono misurati in giorni, settimane o mesi, come ad esempio quell'estate in montagna in cui, per la prima volta, facemmo un lungo giro dei rifugi; infine i singoli episodi che vengono anche definiti col termine di ricordi personali, fatti specifici di breve durata associati a un fatto come "quella volta che in montagna mi slogai una caviglia e ritornai a valle con la jeep". Queste diverse strutture autobiografiche possono essere richiamate da uno stesso stimolo e, a seconda delle situazioni, la parola "montagna", può fare affiorare periodi della vita, eventi generali, episodi ma anche ricordi semantici (con montagna si indica un rilievo di altezza superiore alla collina) o immagini percettive generiche, ad esempio l'immagine di un tramonto in cui le cime delle Dolomiti sono rosse contro il cielo ormai scuro.

 

Le memorie autobiografiche sono stabili oppure soggette a qualche "revisione"?

Come i singoli ricordi dipendono dalla ricostruzione di un puzzle composto da diversi frammenti, ad esempio percezioni visive, uditive, olfattive, criteri semantici ecc., così le memorie della nostra vita dipendono dal mettere insieme frammenti disparati. Ognuno di noi si racconta storie sul proprio passato e man mano ristruttura il significato dei singoli ricordi, cosicché la realtà delle memorie diventa progressivamente meno importante rispetto alla sua ricostruzione che implica distorsioni, abbellimenti, omissioni, trasformazioni.

 

Questo significa che la memoria può essere infedele?

Questo tema, al centro della teoria psicoanalitica, è stato affrontato dallo stesso Sigmund Freud nel 1897 quando il padre della psicoanalisi si soffermò sul significato dei ricordi di presupposti traumi e violenze sessuali risalenti all'infanzia del paziente. Freud, inizialmente, ritenne che questi ricordi che affioravano sotto ipnosi o nel corso dell'analisi, fossero veritieri e che bisognasse prestare loro fiducia; ma in seguito egli giudicò che si trattasse di confabulazioni fantastiche e che le memorie dei -presupposti- abusi sessuali risalenti all'infanzia fossero in realtà delle "memorie schermo", distorsioni o proiezioni che, attraverso immagini visive "inventate" raffiguravano i desideri o i conflitti inconsci del paziente oppure facevano in modo di non fronteggiare quanto sui era realmente verificato. Ad esempio, secondo Freud il riaffiorare di (false) memorie relative a (presunti) abusi sessuali nel corso dell'infanzia poteva dipendere da non esplicitate o esplicitabili pulsioni erotiche nei confronti della persona responsabile del presunto abuso.

Freud non chiarì mai in che modo l'analista potesse separare le memorie reali o attendibili da quelle false o "di schermo" mentre altri studiosi della psiche hanno cercato di separare queste due diverse componenti dei ricordi.

 

E' possibile indurre false memorie, far sì che una persona ritenga che alcune esperienze appartengano ai suoi ricordi mentre in realtà non si sono mai verificate?

Le "false memorie" riguardano situazioni diverse come l'ipnosi e la psicoterapia. Prendiamo il primo caso. In un esperimento un gruppo di volontari è stato sottoposto ad ipnosi: mentre essi erano in stato ipnotico lo psicologo suggerì loro una serie di esperienze come l'essersi smarriti in un supermercato, l'aver perduto la strada di casa, eccetera. Ebbene, una volta emerse dall'ipnosi queste persone ricordavano vagamente le false esperienze e, man mano, le arricchivano di nuovi particolari, costruendo in tal modo false memorie. Qualcosa di simile può verificarsi, sia pure in forma meno drastica, in altre situazioni: una, abbastanza classica, riguarda il rapporto psicoterapeutico in cui il paziente può ritenere di avere individuato un vago e lontano ricordo, che eventualmente sembra risalire all'infanzia, e in seguito a qualche forma di incoraggiamento da parte dell'analista, che ritiene quel ricordo significativo o che è comunque interessato a quella proiezione simbolica, si fabbrica gradualmente una falsa memoria, dotata di connotazioni sempre più vive e precise. In una situazione "credibile" come quella dell'analisi, il paziente può interpretare qualsiasi situazione soggettiva indotta da uno stimolo, ad esempio un'associazione provocata dall'analista, in termini di vaghe sensazioni familiari, sensazioni e immagini che fanno ritenere che la traccia di un ricordo sopito si stia risvegliando e materializzando. Insomma, in questo viaggio in un falso passato, il paziente -che alcuni definiscono col termine di "mentitore onesto"- aggrega intorno a un falso nocciolo originario brandelli di immagini ed esperienze della propria vita ma anche situazioni, descrizioni ed immagini cui ha assistito o che ha sentito raccontare.

 

Se esistono falsi ricordi e se la memoria può essere manipolata ed essere quindi poco affidabile, qual è allora il significato delle testimonianze?

Questo aspetto è stato studiato da una psicologa statunitense, Elisabeth Loftus, che sostiene che anche le persone oneste possono avere la testa piena di falsi ricordi, vale a dire prestare testimonianze inaffidabili. Se, per esempio, una persona vede un individuo sospettato di omicidio con occhiali e capelli lisci e poi qualcuno parla dei "capelli ricci" del sospetto omicida, nel maggior numero dei casi il testimone "ricorda" un colpevole dai capelli ricci, generalmente senza occhiali. Così, in altri esperimenti sulla memoria dei testimoni, i particolari forniti da altre persone potevano contaminare il ricordo: i testimoni potevano esser indotti a ricordare capannoni che non avevano mai visto, a trasformare automobili gialle in rosse e, soprattutto, a modificare le testimonianze sulla base del modo in cui venivano loro presentata la situazione. Ad esempio, testimoni oculari possono valutare più grave un incidente d'auto quando viene loro richiesto come le due automobili si sono "fracassate" anziché "urtate" in quanto diverse parole possono evocare diversi livelli di gravità dell'incidente.

 

La ricostruzione infedele di un fatto può contribuire allora a falsare le testimonianze e a pregiudicare i membri di una giuria?

Le testimonianze, indubbiamente, possono essere influenzate dalla simulazione "verosimile" di un fatto di cronaca. Immaginiamo di essere in un'aula di tribunale e di dover spiegare al giudice, o a una giuria, la dinamica di un grave incidente automobilistico. Una prima possibilità è quella di servirsi del linguaggio: a seconda delle parole utilizzate possiamo non soltanto influenzare eventuali testimoni ma anche creare un'atmosfera più o meno verosimile. Una seconda possibilità è quella di utilizzare esempi grafici, ad esempio illustrare alla lavagna la scena dell'incidente con le posizioni della automobili, la loro direzione, i punti di riferimento stradali ecc.: così facendo rendiamo più "visibile" la situazione in quanto essa è meno astratta, più vicina ai sensi. Vi è una terza possibilità, utilizzata in qualche Stato americano, anche se questa prassi è oggi al centro di polemiche: la dinamica dell'incidente viene simulata al computer e proiettata su uno schermo. Ora le automobili non sono più quadratini ma modellini virtuali, simili per aspetto ai modelli delle automobili coinvolte nell'incidente. Esse si muovono sullo sfondo di un paesaggio, anch'esso virtuale sino al momento in cui si verifica l'incidente con relativi rumori che simulano la frenata, l'impatto ecc. Questa situazione, simulata dalla difesa del presunto responsabile, è in grado di influenzare le rappresentazioni mentali e le memorie dei giudici e dei giurati i cui giudizi, in qualche modo, dipendono così da "pregiudizi", dalle (false) memorie che la simulazione virtuale ha indotto nelle loro menti. Per questo motivo esiste un forte movimento d'opinione per bandire l'uso della simulazione virtuale nelle aule di giustizia americane o per proibire che la televisione e altri media ricostruiscano (attraverso simulazioni) la scena o le dinamiche di un delitto in quanto ciò può influenzare giurie ed opinione pubblica.

 

La fonte di un ricordo o la sua ricostruzione sono quindi ambigue e inaffidabili?

Rintracciare la fonte dei ricordi, vale a dire le "memorie sorgive", pone in effetti alcuni problemi. Pensiamo, ad esempio, all'incertezza di un testimone che no sa che affidamento dare ai propri ricordi: quel viso che egli ritiene riconoscere è legato a una memoria reale oppure si sta confondendo con un viso simile? Il suo ricordo è stato "contaminato" dal modo in cui egli è stato interrogato, dalle notizie provenienti dal bombardamento dei media? In alcuni casi giudiziari un innocente è stato coinvolto perché rassomigliava al colpevole e uno o più testimoni non erano stati in grado di "contestualizzare" il loro ricordo, cioè di visualizzare quel volto in un contesto particolare. Qualcosa di simile può verificarsi nella nostra vita quotidiana quando riteniamo di aver conosciuto una persona particolare ma non siamo in grado di risalire a quella che gli psicologi definiscono col termine di "memoria sorgiva" o originaria: la sensazione di familiarità non si traduce nella capacità di risalire al contesto preciso del ricordo, al luogo in cui abbiamo incontrato quella persona, ecc.

Per comprendere il significato della "fonte" consideriamo i risultati del seguente esperimento. A un gruppo di volontari furono mostrate alcune diapositive in cui un'automobile era coinvolta in un incidente dopo essersi arrestata a un segno stradale di stop. A una metà delle persone venne domandato: "Cosa è successo all'automobile dopo che si è fermata allo stop?" mentre all'altra metà fu chiesto: "Cosa è successo all'automobile dopo che si è fermata al segno di precedenza?". Mezz'ora dopo fu chiesto a ognuno dei partecipanti se l'auto si fosse fermata a un segno di stop o di precedenza: le persone cui era stata fatta la domanda sviante "ricordavano" con notevole frequenza che l'automobile si era fermata al segno di precedenza. Il "suggerimento" orale aveva dunque spiazzato la memoria visiva. Studi successivi hanno dimostrato che in realtà la memoria sorgiva non viene "cancellata" dal suggerimento sviante, che essa esiste in qualche ambito dei circuiti della memoria ma che non è facilmente raggiungibile, come se essa fosse stata nascosta. E in effetti i partecipanti a questo e ad altri simili esperimenti hanno difficoltà a visualizzare la situazione originaria, ad esempio il segno di stop e non sanno dire se lo hanno visto all'inizio dell'esperimento o quando gli è stata nuovamente mostrata la diapositiva per far loro vedere quale fosse in realtà la scena o il particolare che non ricordavano.

 

Tutte le memorie sono consce oppure esistono anche memorie inconsce?

Un esempio della dissociazione che si può verificare tra processi mentali e coscienza riguarda la cosiddetta "visione cieca", un termine paradossale che si riferisce agli esisti di lesioni del lobo occipitale, la parte del cervello responsabile della percezione visiva. La corteccia occipitale può essere paragonata a un teleschermo suddiviso in diversi quadratini: se uno di questi quadratini è "rotto", come può avvenire nel caso di una lesione nervosa, viene a mancare una parte del "paesaggio visivo", e ogni informazione visiva che venga convogliata attraverso la retina in quella parte specifica non verrà rilevata. In un esperimento ormai classico è stato utilizzato uno stimolo luminoso puntiforme che la persona esaminata era in grado di individuare quando esso corrispondeva alle parti sane della sua corteccia occipitale, mentre non era in grado di riconoscere quando esso coincideva con la sede della lesione. Tuttavia, se lo sperimentatore chiedeva a questa persona di provare a indovinare la localizzazione dello stimolo visivo, questa non sbagliava mai: dal punto di vista dei meccanismi consci era cieca, cioè non si rendeva conto della presenza e della posizione del punto luminoso, dal punto di vista inconscio era invece in grado di percepirlo e quindi di rispondere. E' per questo motivo che si parla di visione cieca oppure di memorie senza ricordo: esiste una netta dissociazione tra il nostro comportamento e la nostra coscienza.

 

E' vero che è possibile modificare il comportamento altrui attraverso l'uso di stimoli subliminali che inducono memorie subliminali?

Uno dei casi più noto è il cosiddetto "effetto Coca-Cola" che si riferisce a una sorta di leggenda metropolitana che circolava negli anni Cinquanta. In alcuni cinema americani sarebbe stata proiettata un'immagine di pubblicità della Coca-Cola per la durata di pochi millesimi di secondo, un tempo troppo breve perché la gente potesse vederla e comprendere di cosa si trattava. Nell'intervallo, però, le vendite della bevanda sarebbero proliferate... Non è ancor oggi ben chiaro se questo caso sia vero o se non si sia trattato di un falso a fini pubblicitari. Resta il fatto che alcuni messaggi subliminali che attivano realmente memorie inconsce, e quindi implicite, possono modificare il comportamento. Ad esempio, se su uno schermo televisivo vengono proiettati rapidissimi -e impercettibili- messaggi contenenti brevi giudizi o parole negative, lo spettatore può sviluppare ostilità nei confronti di una terza persona, senza però ricordarsi di essere stato esposto a messaggi negativi. Utilizzando queste strategie è possibile condizionare il comportamento di una persona senza che essa sia conscia dei motivi che lo spingono ad agire in un senso o nell'altro.

 

A volte si ha l'impressione di aver già visto una scena o un luogo in cui non siamo mai stati oppure di aver già vissuto una particolare esperienza. Da cosa dipende questa sensazione inquietante che fa pensare all'esistenza di una realtà paranormale?

Queste situazioni vanno sotto il nome di "déjà vu" (già visto): a queste senzazioni sera già interessato Sigmund Freud che è stato tra i primi a tentare una spiegazione di questo fenomeno. Secondo la psicoanalisi si tratta di una sensazione è legata al desiderio che qualcosa si compia o si ripeta. Il déjà vu non sarebbe altro che il desiderio di ripetere un'esperienza del passato ma in un modo più soddisfacente, il che comporterebbe una sensazione ambigua motivata, appunto, da un desiderio da soddisfare.

Per gli studiosi del cervello e della memoria le esperienze di déjà vu avrebbero invece un'origine diversa. Una prima spiegazione ricorre a un modello della memoria di tipo olografico: gli ologrammi sono quelle fotografie che, osservate da un particolare angolo visivo, appaiono in rilievo. Nell'ologramma ogni punto dell'immagine contiene l'insieme delle informazioni necessarie a ricreare l'immagine completa: anche un frammento dell'immagine può ricreare il tutto, ma più piccolo è il frammento, meno a fuoco risulta l'immagine. Se allora consideriamo le memorie come ologrammi, il fenomeno del déjà vu potrebbe essere legato all'innesco di un frammento di ricordo troppo piccolo perché la memoria possa risultare "a fuoco". Immaginiamo che un ricordo venga depositato nel cervello sotto forma di ologramma e che questo contenga una serie di informazioni, sensoriali, emotive e cognitive che nel loro insieme costituiscono il ricordo: un dettaglio, ad esempio il tono di una voce, un particolare del viso di una persona, una sensazione emotiva, possono innescare e ricostruire quel particolare ricordo nella sua interezza. Ma immaginiamo adesso che una sensazione, un'emozione, un messaggio visivo rassomiglino a un qualche dettaglio del ricordo precedente: il cervello confonde il presente col passato e si ha l'impressione di aver già visto quella scena o vissuto quella situazione.

Esiste però un'altra spiegazione secondo cui il déjà vu dipenderebbe da un mutamento nel ritmo con cui si verificano percezioni e memorie. Secondo questa teoria le sensazioni che derivano da una particolare esperienza non vengono percepite immediatamente dal cervello - a causa di una qualche inefficienza del sistema - mentre l'informazione viene subito registrata sotto forma di memoria. Come conseguenza di questa alterata sequenza temporale di sensazioni e memorie si ha l'impressione che un evento venga vissuto e ricordato simultaneamente. Quale che sia la spiegazione, la sensazione di déjà vu è inquietante, perché sentiamo che la nostra mente ci appare estranea, la memoria inaccessibile. Ma non è detto che il nostro lavoro di ricerca della situazione "già vissuta" sia coronato dal successo, perché le memorie possono essere inaccessibili alla coscienza: capita così ai neonati, il cui comportamento può essere influenzato da esperienze precoci che fanno capo alla cosiddetta memoria implicita, un tipo di memoria che non viene "esplicitata", che lascia traccia di sé senza che si verifichino forme di coscienza, come avviene per le memorie procedurali.

 

Come mai molte persone condividono in modo molto vivo memorie di uno stesso evento?

Si tratta di memorie in cui il legame emozione-memoria è fortissimo, come nel caso dei cosiddetti "ricordi flash". Queste memorie sono state studiate a partire dalla fine dell'Ottocento, quando alcuni psicologi si resero conto che un buon numero di persone, a distanza di diversi anni dall'omicidio del presidente americano Abramo Lincoln, ricordavano "dove, con chi e cosa stavano facendo" quando ebbero questa notizia. Una simile inchiesta venne ripetuta a dieci anni dall'assassinio di un altro presidente americano, John Kennedy, e portò a risultati sostanzialmente simili.

Gli psicologi che hanno studiato questo fenomeno, hanno confrontato il ricordo di diversi eventi pubblici, tra cui l'uccisione dei due fratelli Kennedy, di Malcom X e di Martin Luther King, in due gruppi di americani bianchi e neri: quasi tutti gli intervistati avevano un ricordo flash (come il lampo prodotto dal flash di una macchina fotografica) dell'assassinio dei Kennedy, quasi tutti i neri anche dell'assassinio di Martin Luther King. Questo tipo di memorie sono molto vive non soltanto per l'importanza dell'evento ma anche e soprattutto per l'emozione che esso suscita: si ritiene che esse dipendano da un meccanismo automatico, legato al valore di sopravvivenza per la specie umana di tutte le memorie legate a un ambiente caratterizzato da pericoli inattesi. E' come se il cervello agisse secondo un meccanismo che è stato definito now print, ora stampa (l'immagine e la situazione eccezionale) in modo tale che vengano ricordati i luoghi e le attività svolte al momento dell'evento. Una simile codificazione, che viene utilizzata da molti animali che difficilmente dimenticano i luoghi e i dettagli relativi all'aggressione subita da un predatore, deve aver avuto un importante significato adattativo per l'uomo primitivo che, stampandosi nella mente un ricordo pregno di emozioni, evitava così di ripetere quell'esperienza. I ricordi-lampo sono abbastanza accurati ma non dipendono soltanto da una "fotografia" dell'evento: infatti gli eventi relativi alle memorie flash sono stati "rivisitati" numerose volte, sia perché se ne riparla molto, sia perché, di tempo in tempo, se ne rivedono le immagini fotografiche, televisive ecc. Le memorie-lampo sono comunque un tipo di memorie eccezionali, che sono soltanto in apparenza identiche in quanti le condividono: ognuno di noi, in realtà, ha una sua memoria-lampo dello stesso evento, legata alle nostre reazioni individuali, al modo individuale di codificarla ecc.

 

Ci sono situazioni che, all'improvviso, ci riportano indietro nel tempo, proprio come se si trattasse di flashback cinematografici.

Mentre i ricordi-flash hanno solitamente una dimensione collettiva, i flashback hanno una dimensione fortemente individuale: essi fanno parte del "linguaggio della mente" in quanto un qualche stimolo può richiamare all'improvviso il passato in modo estremamente vivo, portando con sé le stesse emozioni provate un tempo.

Il termine "flashback" è relativamente nuovo e non molti sanno che è stato coniato negli anni Sessanta, quando si diffuse la cultura psichedelica e l'uso di sostanze allucinogene come l'LSD. I consumatori di questa potente droga, dotata di effetti mentali abbastanza dissestanti, avevano infatti notato che a distanza di giorni o anche di settimane dall'uso dell'LSD essi riprovavano all'improvviso sensazioni visive che avevano già provato mentre erano sotto l'azione della droga. Questa, com'è noto, induce una serie di allucinazioni e immagini visive proprio perché stimola, tra l'altro, la corteccia occipitale, responsabile delle percezioni e dei ricordi visivi. Ma cos'è che fa sì che un'emozione colpisca la mente e attivi un ricordo, si tratti di un flashback emotivo di una memoria "normale"? La risposta è che le emozioni "attivano" il cervello, la condizione di partenza perché possa scatenarsi l'emozione e si possano verificare i suoi correlati somatici e vegetativi come aumento della pressione arteriosa, tachicardia, sudorazione, aumento della tensione muscolare ecc. Questa attivazione implica anche che alcune memorie, legate a situazioni emotive, restino ben incise nella nostra mente. In un film, le scene critiche, le più "attivanti", saranno quelle che più resteranno incise nella memoria, anche se forse qualcuno degli spettatori più sensibili vorrebbe dimenticarle… Ma l'attivazione ha questo effetto, far sì che alcune memorie, come i flashback, siano più durature, sino a poter diventare pervasive, cioè vere e proprie memorie ossessive, e far sì che l'attenzione si concentri sui dettagli più rilevanti dal punto di vista emotivo, quelli che lasceranno una traccia più duratura.

 

Perché le persone depresse ricordano gli aspetti più negativi della realtà?

Le emozioni possono "canalizzare" le memorie, nel senso che non soltanto le rendono più o meno forti e pervasive ma anche che ne sottolineano alcuni aspetti, non necessariamente i più obbiettivi e rilevanti. Esse, inoltre, danno una particolare coloritura ai ricordi facendo sì che essi abbiano un aspetto prevalentemente positivo, come avviene nelle persone ottimiste, oppure negativo, come invece avviene nei depressi: questi ultimi, se devono memorizzare una lista di parole, ricordano di più quelle dotate di una valenza negativa (infelicità, tristezza, incidente ecc.) rispetto a quelle con valenza positiva (sorriso, gioia, vincita al gioco ecc.). La situazione è invece opposta nel caso degli ottimisti.

 

Esistono specifiche aree del cervello che intervengono nelle memorie emotive?

Oggi è noto che l'amigdala (un nucleo nervoso a forma di mandorla che fa parte del sistema limbico e che riceve e invia informazioni alla corteccia frontale) gioca un ruolo particolare in emozioni come la paura mentre altre strutture del sistema limbico intervengono nei processi cognitivi, ad esempio nelle memorie spaziali. Studiando il comportamento di topolini di laboratorio con particolari caratteristiche genetiche si è scoperto qual è il ruolo dell'amigdala e dell'ippocampo. Gli animali sono stati sottoposti a due test: il primo implica una memoria spaziale, cioè trovare l'uscita di un labirinto attraverso un percorso che deve essere memorizzato, il secondo implica invece una memoria emotiva, un "apprendimento legato alla paura", ricordare cioè una situazione in cui in precedenza l'animale ha subito un'esperienza negativa, come un odore per lui sgradevole, la presenza di un animale estraneo che suscita ansia ecc. I topolini in cui l'alterazione genetica aveva indotto una lesione dell'ippocampo imparavano bene il secondo test (l'apprendimento legato alla paura) ma non quello dipendente da memorie di tipo spaziale; mentre gli animali con lesioni dell'amigdala non ricordavano le esperienze legate alla paura ma avevano una buona memoria per quelle legate agli apprendimenti spaziali. Utilizzando tecniche di ingegneria genetica si è addirittura riusciti a bloccare i meccanismi molecolari dell'amigdala e ad ottenere ceppi di animali geneticamente "non paurosi" e quindi non in grado di formare memorie di tipo emotivo, quali quelle dipendenti dalla paura. Anche nella specie umana le lesioni dell'amigdala rendono una persona incurante della paura, o almeno non in grado di interpretare correttamente il contesto ambientale in cui si trova se questo è potenzialmente negativo, tale da suscitare ansia in condizioni normali (ad esempio una strada buia in un quartiere malfamato). Non è quindi escluso che nella specie umana, in condizioni normali, le differenze tra i tipi di memoria evidenti tra individuo e individuo possano essere anche dovute al maggiore o minor ruolo esercitato da nuclei quali l'amigdala e l'ippocampo.

 

Numerosi film hanno trattato il caso di persone che presentano "personalità multiple", cioè scisse in modo tale che una personalità è buona e l'altra cattiva: più in generale, una personalità non ricorda le esperienze dell'altra, come se lo stesso corpo fosse abitato da due menti diverse, non in contatto tra loro. E' vero?

Gli psichiatri che hanno studiato in questi anni diversi casi di personalità multipla hanno individuato spesso l'esistenza di una causa scatenante, un trauma infantile -violenza, morte dei genitori, abuso sessuale- che il bambino può tentare di superare o compensare attraverso l'elaborazione fantastica di una figura immaginaria: un ipotetico compagno di giochi, un nanetto benevolo, un angelo, un rivale amico, un eroe dei fumetti cui egli si rivolge e con cui dialoga, scaricando le proprie tensioni. Ma questo "alter ego" può ad un certo punto coabitare stabilmente nella mente infantile e stabilizzarsi in una sorta di seconda personalità, frutto di una vera scissione dell'io. Questa spiegazione, che privilegia l'evento traumatico nella genesi delle dissociazioni della personalità e delle personalità multiple, viene sostenuta soprattutto dagli psicanalisti, ma meno dagli psichiatri di orientamento biologico che invece vanno alla ricerca di un "disturbo" a livello dei circuiti nervosi, di un'alterazione delle strutture su cui si basano i rapporti tra memoria ed emozione e tra memorie implicite ed esplicite. Queste due diverse spiegazioni della personalità multipla non sono necessariamente incompatibili l'una con l'altra in quanto il trauma emotivo potrebbe innescare delle reazioni anomale nel cervello di una persona. Ciò su cui invece si concentrano gli studiosi del cervello sono i motivi per cui si instaura quella "barriera" della memoria che separa le due -o più- diverse personalità, cioè il fatto di ricordare quanto é avvenuto in uno stato psichico e non nell'altro.

La personalità multipla si basa infatti su memorie "stato-dipendenti", simili a quelle che abbiamo visto verificarsi anche sotto l'influenza di alcuni farmaci ipnotici, droghe e alcol, in cui le esperienze non sono totalmente "accessibili" nello stato normale; esse sembrano dimenticate o sepolte nei meandri del cervello ma in realtà possono riemergere quando si ritorna a quello stato fisiologico, cioè quando un individuo é di nuovo sotto l'effetto dell'ipnosi, dell'alcol o della droga. Questo stato di amnesia selettivo o "stato-dipendente" non riguarda la memoria nella sua globalità ma un particolare aspetto della memoria, quella "implicita": è quanto avviene nelle personalità multiple in cui le memorie implicite, legate a un evento emotivamente disturbante, non arrivano a manifestarsi che in alcune condizioni, sotto la spinta di una forte emozione o quando il controllo della coscienza viene meno. Le personalità multiple, pur essendo uno dei temi che più colpiscono i profani per il blocco che caratterizza due diversi sistemi della memoria e della coscienza, non sono però talmente frequenti quanto le dipingono il cinema e i media, al punto che alcuni psichiatri le ritengono casi estremamente rari e invitano ad accertare che non si tratti di vere e proprie simulazioni.

 

Quali sono le principali modifiche che si verificano con gli anni a carico del cervello?

In gran parte esse interessano l'ippocampo e la corteccia frontale, che mostrano i maggiori segni di involuzione. L'ippocampo, come abbiamo visto, serve per codificare le nuove memorie in memorie definitive e in effetti gli anziani hanno maggiore difficoltà rispetto ai giovani nel codificare nuove memorie, cioè nel trasformare la memoria a breve in memoria a lungo termine. Questa difficoltà dipende non soltanto da un invecchiamento dell'ippocampo e delle strutture temporali mediali, ma anche in una minor efficienza dei processi di sintesi delle proteine che servono per fabbricare nuove sinapsi nervose, essenziali per costruire o rendere stabili i circuiti nervosi cui sono affidate le nuove memorie. A causa di queste alterazioni fisiologiche, soprattutto in tarda età, l'anziano tende a vivere più nel passato che nel presente poiché le sue memorie più antiche sono stabili e presenti, a differenza di quelle più vicine nel tempo. Questo fenomeno, cioè il ricordare maggiormente le memorie antiche, dipende però anche da motivi psicologici: gli anni della gioventù e della prima maturità sono anche quelli che più hanno contribuito al processo di connotazione della personalità e dell'identità di un individuo, alla costruzione dell'io, ed è anche per questo motivo che vengono più ricordati e rievocati.

Per vedere delle immagini sulle modifiche del cervello e della fisiologia del corpo durante l'invecchaimento clicca QUI

Consideriamo ora le regioni frontali, che intervengono in tre diversi processi della memoria. In primo luogo esse giocano un ruolo importante nei processi di richiamo ma non in quelli di riconoscimento: una persona anziana può aver problemi nel richiamare alla mente parole, mentre non ha in genere problemi nel riconoscerle quando le trova scritte in una lista. Ciò spiega perché spesso gli anziani usano perifrasi, procedono più lentamente nel parlare "pescando" con maggior lentezza le parole necessarie e, se non ci riescono, girano l'ostacolo in modo più o meno inconscio ricorrendo appunto a perifrasi. In secondo luogo le aree frontali sono coinvolte nell'ordine temporale che è alla base di ogni memoria, il che spiega perché a volte le persone anziane possono aver problemi nel ricordare l'ordine in cui appaiono due frasi, due eventi ecc. Gli anziani, infine, hanno difficoltà nel generare in modo autonomo stimoli o "suggerimenti", che normalmente vengono prodotti nel lobo frontale e servono per innescare un'azione; se invece lo stimolo proviene dall'esterno, la memoria viene innescata in modo opportuno.

 

Che consigli dare a un anziano per mantenere in forma il suo cervello?

Una buona prevenzione contro il decadimento cerebrale che può verificarsi nella terza età passa quindi attraverso questi punti:

1. Mantenere una buona forma fisica per ossigenare il cervello e mantenere più a lungo in vita i neuroni.
2. Non mangiare in eccesso e limitare i grassi che contribuiscono all'insorgenza dell'arteriosclerosi.
3. Fare attenzione all'ipertensione controllando regolarmente la pressione arteriosa: i micro-infarti cerebrali, indotti dall'effetto combinato della pressione elevata e dell'arteriosclerosi, possono passare a lungo inosservati ma alla fine ridurre il cervello a una specie di "groviera". Quando i danni divengono evidenti, gravi amnesie comprese, è in genere troppo tardi.
4. Non esistono "farmaci della memoria": come abbiamo visto, la memoria è un complesso processo mentale e nessun farmaco può servire a "stampare" memorie. Esistono però farmaci che agiscono a vari livelli sul benessere cerebrale, da quelli che migliorano la circolazione del sangue -e quindi l'ossigenazione cerebrale- a quelli che riducono il livello di lipidi a quelli, infine, che migliorano lo "stato di salute" dei neuroni o la loro efficienza, come i cosiddetti farmaci nootropi.
5. Stimolare il cervello con interessi vari: la televisione non può rappresentare l'unica sorgente di "stimoli" per l'anziano. Bisogna trovarsi, quando ancora si è giovani, altri interessi, coltivare la lettura, cercare di esercitare la memoria non in modo pedante ma, come si è detto, codificando le informazioni in modo approfondito, prendendo appunti, segnando a margine di libri e giornali i punti chiave per ricostruire -e memorizzare- il senso di un articolo.

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Test: Quant'è buona la tua memoria?

 

La memoria può vacillare in modo più o meno serio. Qui di seguito vengono riportate 27 diverse situazioni in cui possiamo commettere errori. Per valutare la propria memoria bisogna attribuire un punteggio ad ogni situazione, utilizzando una scala che va dall'1 al 9: ad esempio, se un errore non si è verificato nemmeno una volta negli ultimi mesi il punteggio è 1, se si verifica più di una volta al giorno il punteggio è 9. Ecco la scala dei punteggi:

Nemmeno una volta negli ultimi sei mesi: 1
Una volta negli ultimi sei mesi: 2
Più di una volta negli ultimi sei mesi, meno di una volta al mese: 3
Più o meno una volta al mese: 4
Più di una volta al mese, meno di una volta a settimana: 5
Circa una volta a settimana: 6
Più di una volta a settimana, meno di una volta al giorno: 7
Circa una volta al giorno: 8
Più di una volta al giorno: 9

 

E ora ecco il test:

1. Dimentico dove ho messo qualcosa, perdo gli oggetti in casa. [ ]
2. Non mi ricordo dei posti dove sarei già stato. [ ]
3. Mi perdo nella trama dei telefilm. [ ]
4. Se cambio la mia routine quotidiana ho dei problemi, ad esempio, se cambio di posto a un oggetto usuale. [ ]
5. Torno indietro a controllare se ho fatto qualcosa che dovevo fare. [ ]
6. Dimentico quando è successo qualcosa, se il giorno o la settimana prima. [ ]
7. Mi dimentico di portare dietro degli oggetti che mi servono. [ ]
8. Dimentico quanto mi hanno detto uno o più giorni fa e devo farmelo ripetere. [ ]
9. Inizio a leggere un libro o un articolo senza rendermi conto di averlo già letto. [ ]
10. Mi perdo e divago nel discorso. [ ]
11. Quando li incontro non riconosco amici o parenti. [ ]
12. Imparo difficilmente qualcosa di nuovo, come un gioco o un nuovo congegno. [ ]
13. Ho delle parole sulla punta della lingua ma non riesco a trovarle. [ ]
14. Dimentico di fare ciò che mi ero proposto o mi avevano richiesto. [ ]
15. Dimentico aspetti importanti di ciò che è successo il giorno prima. [ ]
16. Mi succede spesso di dire: "Di cosa stavo parlando?" [ ]
17. Quando leggo mi riesce difficile seguire il filo della storia [ ]
18. Dimentico spesso di trasmettere messaggi importanti o di ricordare qualcosa a qualcuno. [ ]
19. Dimentico particolari importanti di me stesso come la data di nascita, l'indirizzo di casa, il telefono. [ ]
20. Confondo quanto è avvenuto con quanto mi hanno raccontato. [ ]
21. Racconto le stesse storie o barzellette alle stesse persone. [ ]
22. Dimentico i particolari delle cose che faccio usualmente a casa o sul lavoro. [ ]
23. Non riconosco la faccia dei personaggi televisivi o delle persone famose. [ ]
24. Dimentico dove si trovano le cose o le cerco nel posto sbagliato. [ ]
25. Mi perdo nei luoghi dove sono stato spesso in precedenza [ ]
26. Ripeto le stesse azioni di routine, ad es. zucchero due volte il caffè. [ ]
27. Ripeto quanto ho appena detto o faccio la stessa domanda. [ ]
Punteggio totale: [ ]

Se in questo test, elaborato dall'Unità di Psicologia del Medical Research Council di Cambridge, il punteggio raggiunto è compreso tra 27 e 58 la memoria è buona: un punteggio compreso tra 58 e 116 indica una memoria media mentre tra 116 e 243 punti si è al di sotto della media.

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Per saperne di più leggi: A. Oliverio, L'arte di ricordare, Rizzoli, Milano 1998, 2000.

Per vedere una serie di immagini sui rapporti tra cervello e memoria clicca QUI

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