Alberto Oliverio

Esplorare la mente. Il cervello tra filosofia e biologia

Raffaello Corina Editore, Milano 1999

Leggi l'introduzione:

 

Tutto ciò che riguarda il cervello, il comportamento, le caratteristiche della mente è oggi al centro di crescente attenzione sia da parte degli scienziati sia da parte dei non specialisti che per diversi motivi possiedono alcune nozioni su differenti aspetti dei rapporti tra cervello e comportamento. Ad esempio, spesso sentiamo affermare che l'essere depressi o di buon umore può dipendere dalle dinamiche delle molecole chimiche prodotte dalle cellule nervose, che le droghe modificano il nostro comportamento agendo sui trasmettitori nervosi, che un trauma cranico può comportare un vuoto di memoria, che intelligenza e memoria possono sgretolarsi in tarda età se il cervello va incontro a malattie degenerative come il morbo di Alzheimer. Ognuno di noi, insomma, ha conoscenze, più o meno sommarie, sia nel campo delle neuroscienze, le discipline che studiano il cervello attraverso diversi strumenti e punti di vista, sia in quello della psicobiologia, la disciplina che cerca di interpretare alcuni aspetti della mente attraverso un'ottica biologica, sia, infine, in quello della filosofia della mente che, attraverso i secoli, ha cercato di rispondere a diversi interrogativi che riguardano i rapporti tra la mente, un tempo associata all'anima, e i cervello. Alcuni di questi classici interrogativi, oltre al rapporto mente-cervello, riguardano gli atteggiamenti umani, le credenze e i desideri, la coscienza, la razionalità, le passioni, il rapporto tra natura e cultura, la volontà, lo stesso libero arbitrio. Un tempo, però, i filosofi della mente si ponevano domande che prescindevano dalle - poche - conoscenze sul funzionamento del cervello mentre oggi è ben difficile non tenere in considerazione quanto ci rivela la biologia: e anche se alcuni filosofi ritengono che gli eventi mentali siano essenzialmente dei vissuti in prima persona, su cui la scienza ha ben poco da dire, è ben difficile ignorare alcuni fondamenti biologici del mentale. Ad esempio, non abbiamo dubbi sul fatto che la mente di una persona che ha fatto uso di droghe pesanti sia alterata, che la morte cerebrale coincida con l'assenza di coscienza e delle funzioni mentali, che alcune funzioni mentali si verifichino a livello inconscio. Anche quando ci interroghiamo sul futuro, la dimensione biologica ha un impatto sull'etica, sulla filosofia della mente, sullo stesso concetto di "persona umana": spesso, tanto per ricorrere a un argomento attuale, ci domandiamo cosa avverrebbe se gli individui umani fossero clonati e, in particolare, se le loro menti potrebbero essere quasi identiche tra loro, simili in modo inquietante...

Questa trasformazione del nostro modo di guardare alla mente umana attraverso un'ottica biologica, è abbastanza recente: sia pure con qualche approssimazione, potremmo affermare che poco più di cinquant'anni fa la mente e il comportamento umano erano ancora appannaggio della filosofia e della psicologia mentre si riteneva che biologia e medicina si limitassero a fornire risposte circoscritte alla patologia, ai casi di malattie e lesioni del sistema nervoso. In realtà, l'interesse ai rapporti tra cervello e comportamento risale a molti anni or sono: ad esempio, gli studiosi di anatomia comparata, i naturalisti, gli evoluzionisti, si erano posti domande sulle radici biologiche del comportamento umano già alcuni secoli addietro; Charles Darwin aveva sostenuto, sin dalla metà dell'Ottocento, che il cervello umano avesse alle sue spalle una lunga storia naturale; i neurologi avevano indicato come le lesioni di alcune parti della corteccia cerebrale alterassero profondamente il linguaggio, la memoria, il comportamento. Tuttavia, malgrado queste conoscenze e teorie, il cervello restava un continente inesplorato e ignoto ai più: e soprattutto, come si è detto, era opinione comune che la scienza, in particolare la medicina, potesse chiarire alcuni aspetti della patologia cerebrale ma non della fisiologia. Si ammetteva, ad esempio, che il comportamento potesse disgregarsi a causa di un ictus o della sifilide ma non si riteneva che la scienza potesse esplorare le caratteristiche della memoria, dell'emozione, del sogno e più in generale della mente. Oggi, invece, la situazione è profondamente cambiata, il modo in cui guardiamo alla mente è diverso in quanto le neuroscienze, attraverso lo sviluppo di varie tecniche e strategie, hanno consentito di inquadrare e conoscere numerosi aspetti dei rapporti tra sistema nervoso e comportamento, sia dal punto di vista fisiologico che patologico. Ovviamente, le trasformazioni del modo in cui guardiamo ai rapporti tra mente e cervello, tra psiche e corpo, non rispecchiano soltanto conoscenze scientifiche ma anche mutamenti sociali e culturali: in effetti, la maggiore attenzione nei riguardi dei rapporti tra cervello e psiche può anche essere interpretata sulla base dell'attuale tendenza verso l'individualismo, della crescente attenzione verso il sé, di una trasformazione della mentalità che riguarda anche quegli interrogativi sul come siamo fatti e sul come agiamo che rientrano nel campo di studio delle scienze della psiche e del cervello.

Un'ulteriore spinta verso una lettura in chiave biologica della mente ha avuto origine da una laicizzazione della cultura e quindi dal superamento di una concezione spiritualistica che, nel passato, poteva far sì che il concetto di mente coincidesse con quello di anima o di spirito: lo studio del comportamento in termini naturalistici o "riduzionistici" implica invece che i fenomeni mentali siano manifestazioni del corpo o dei processi cerebrali e che quindi lo studio della mente umana non sia appannaggio della metafisica, della filosofia o di una psicologia completamente scissa dalla biologia. Ciò non significa che la mente umana possa essere svelata esclusivamente attraverso un'ottica naturalistica ma che le neuroscienze rappresentino un importante livello di lettura, anche se non esclusivo. Questa laicizzazione della cultura è meno evidente in Italia e ciò spiega, probabilmente, perché in altri paesi la filosofia della mente occupi un posto centrale nella filosofia e le neuroscienze suscitino maggiore attenzione di quanto non avviene nel nostro paese.

Per renderci conto di come si sia giunti a una nuova concezione dei rapporti tra mente e cervello si possono seguire quattro diversi percorsi:

1. In primo luogo ripercorrere la storia dei rapporti tra biologia e comportamento a partire dall'Ottocento, quando i naturalisti, i fisiologi e i neurologi cominciarono a condurre studi e ricerche sistematiche sulla storia naturale del cervello, sulla sua fisiologia e sugli effetti dei danni localizzati in alcune regioni cerebrali.

2. In secondo luogo seguire un'ottica di tipo evolutivo, cercare cioè di seguire le tracce di una "storia naturale" della mente per soffermarsi sulle tappe fondamentali che hanno portato a un cervello tipicamente umano.

3. Un terzo percorso può invece riguardare alcuni fondamentali raggiungimenti delle neuroscienze e della psicologia che hanno innovato il modo in cui guardiamo ai rapporti tra cervello e rappresentazioni della realtà, basati sia su quel complesso intreccio di meccanismi predeterminati e processi plastici che caratterizzano ogni funzione mentale, in particolare la memoria che costituisce una specie di luogo simbolico della mente. Gli studi sulla memoria indicano, ad esempio, che alcuni aspetti e modi del ricordare sono legati a specifiche aree della corteccia, che la mente rielabora in modo massiccio sia nuove esperienze che ricordi consolidati, che non tutte le esperienze si verificano a livello cosciente e, infine, che attività cognitive ed emotive sono fortemente interdipendenti.

4. Ultima tappa del nostro percorso saranno le teorie della mente, un classico capitolo della filosofia che riguarda i rapporti tra mente e cervello. In che modo le nuove conoscenze neuroscientifiche hanno modificato le teorie della mente? Ad esempio, a quali trasformazioni è andata incontro l'epistemologia il cui nucleo centrale è l'origine e la legittimazione della conoscenza? Tutta la conoscenza, come sostenevano gli empiristi, nasce dai sensi e dalle impressioni che sono alla base del contenuto dei nostri stati mentali di cui abbiamo conoscenza diretta oppure si basa su basi naturalistiche, su idee innate, come ritenevano i razionalisti? Mente e cervello sono due entità distinte? Esiste un linguaggio della mente? Le neuroscienze permettono di rispondere a queste domande in modo più esaustivo oppure le risposte risiedono altrove, ad esempio nelle conoscenze che derivano dall'intelligenza artificiale e da quelle di calcolo o "computazionali"? O infine, come sostengono la filosofia e la psicologia fenomenologica, le neuroscienze non ci consentono di dare risposta alcuna in quanto le esperienze mentali sono un fenomeno precluso alla conoscenza obiettiva?

Considerata da questi diversi punti di vista, la mente ci apparirà sotto un insolito aspetto in quanto è evidente che il cervello opera attraverso una serie di meccanismi precostituiti, frutto della sua lunga storia, che fanno sì che stimoli ed esperienze vangano elaborati automaticamente e trasformati in interpretazioni, rielaborate e corrette, della realtà. Che si tratti di stimoli visivi, di esperienze o memorie che riaffiorano alla mente, tutto viene analizzato e rimaneggiato dal cervello prima ancora che la mente possa rendersi conto di quanto il cervello sta facendo. In altre parole, molto spesso il cervello sa e agisce prima della mente, prima che il nostro io ne sia a conoscenza. D'altronde, come vedremo, numerose attività, dai riflessi alle associazioni, dalla percezione alla memoria, si verificano a livello inconscio.

La mente è seconda al cervello nell'interagire col mondo? Prende atto delle operazioni del sistema nervoso attuate tramite programmi che derivano da una lunga storia evolutiva? Questa posizione, se estremizzata, è eccessiva: è mai possibile che una visione unitaria della realtà, del mondo che ci circonda e del nostro mondo interno, dipenda essenzialmente da un automatismo che deriva da un meccanismo precostituito? Secondo alcuni filosofi e neuroscienziati, ad esempio Michael Gazzaniga (1998), l'unitarietà della mente dipende dall'intervento di un "interprete" ma questi non sarebbe altro che un ulteriore meccanismo precostituito di cui, col tempo, saremo in grado di conoscere la "formula". E per di più questo meccanismo, l'interprete appunto, sarebbe a sua volta frutto di un processo evolutivo che ci permette di individuare la presenza di simili interpreti, anche se meno abili e sofisticati, nelle altre specie animali.

E se l'interprete fosse invece il prodotto dell'esperienza che, progressivamente, induce la formazione di schemi sempre più complessi, visioni del mondo che pur hanno una loro dimensione neurobiologica in quanto implementate nei circuiti nervosi? E' quanto discuteremo nell'ultima parte di questo libro che tenta di descrivere la mente nella sua complessità senza prescindere dalla biologia ma anche senza ricorrere a un determinismo semplificante.

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